Federico II re di Gerusalemme
Federico II re di Gerusalemme (nota[1])
Traduzione a cura di Waldemar Eistermeier.
In questa relazione mi occuperò dei rapporti di Federico II di Svevia con il Regno di Gerusalemme. Cercherò di descrivere i diversi rapporti che, come crociato, come imperatore e come re di Gerusalemme, legavano il sovrano alla Terrasanta, al fine di accertarne anche il valore, di verificare quale significato dare alla dignità regale e quali provvedimenti specifici del sovrano possano proprio ad essa attribuirsi.
La Terrasanta ebbe una speciale importanza nella vita di Federico II fin dal momento della sua incoronazione, avvenuta ad Aquisgrana il 25 luglio 1215, quando prese e levò in alto la Croce, promettendo con ciò di impegnarsi personalmente come crociato a fare tutto il possibile per il bene degli stati crociati, per la riconquista dei luoghi santi e per la liberazione in particolare del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
A questo gesto spettacolare probabilmente fu spinto, prima di ogni altra cosa, da un sentimento di riconoscenza per i successi inaspettati che aveva ottenuto in Germania e che egli attribuiva all'aiuto diretto di Dio. Allo stesso tempo, però, il suo comportamento fu certamente determinato anche dalla piena consapevolezza della sua superiore dignità e della sua vocazione.
Si trattò per lui di una professione di fedeltà alla tradizione ed agli scopi dei suoi antenati e predecessori svevi, fra i quali l'uno, suo nonno Barbarossa, era morto durante una crociata e l'altro, suo padre, l'imperatore Enrico VI, mentre ne preparava una nuova[2]. Federico non ebbe tuttavia alcuna fretta di mantenere la solenne promessa fatta e difficilmente gli sarebbe stato in quel momento possibile, prima del consolidamento della sua autorità regale in Germania. Di fatto, nel 1217 i crociati partirono verso l'Oriente senza di lui, stimolati con fervore e fermezza dal papa Onorio III. Ma neanche quando, nel novembre del 1219, essi vennero a trovarsi in serie difficoltà dopo la conquista di Damietta, le loro richieste d'aiuto e gli ammonimenti sempre più pressanti del papa valsero a indurre lo Svevo ad accorrere in loro soccorso.
Piuttosto, nonostante le sue solenni promesse, Federico riuscì a differire continuamente la partenza. Onorio reagì con crescente irritazione a tale suo atteggiamento ma d'altra parte, sebbene a malincuore, si vide costretto a concedergli sempre nuove proroghe. Probabilmente, Onorio subì una tale costrizione perché per la riuscita della crociata si aspettava moltissimo dal totale impegno dello Svevo. Inoltre, doveva pure accettare come convincenti alcune scuse che Federico adduceva a giustificazione del suo indugio.
Pergamena, mm 294/305x425/444, munita di sigillo d'oro ASV, A. A., Arm. I-XVIII, 26
Giuramento di Federico II al papa Onorio III, con il quale il sovrano promette di proteggere e conservare alla Chiesa i suoi possedimenti, di difendere il regno di Sicilia e di confermare tali impegni appena ottenuta la corona imperiale.(Haguenau, settembre 1219 + sigillo d'oro)
Da parte sua, Federico sfruttò al massimo la dipendenza e l'arrendevolezza del papa per ampliare ed assicurare la sua posizione nell'Occidente prima di partire per la Siria. Ottenne, così, l'elezione di suo figlio Enrico a re di Germania e, alla fine, Onorio lo incoronò persino imperatore, senza insistere sulla sua simultanea rinunzia al Regno di Sicilia, come era stato precedentemente concordato.
Per il papa dovette essere decisivo il fatto che lo Svevo durante l'incoronazione imperiale rinnovò la promessa di iniziare presto la crociata, al più tardi nell'agosto del 1221. Oltre a ciò non è da escludere che Onorio fosse rimasto impressionato dall'accenno fatto da Federico all'importanza che il Regno di Sicilia, con le sue risorse e con i suoi porti, aveva per il successo dell'impresa[3].
Federico, ancora una volta, non osservò il termine fissato per la partenza; piuttosto, si concentrò sul riordinamento del Regno di Sicilia. Però, questa volta, provvide almeno ad appoggiare in maniera consistente l'esercito crociato in Egitto, inviando in Oriente, uno dopo l'altro, il duca Ludovico di Bavaria, Anselmo di Justingen e, infine, il suo ammiraglio Enrico di Malta ed anche il cancelliere siciliano Gualtiero di Pagliara, ciascuno con navi, cavalieri e mezzi di soccorso in misura considerevole.
Nello stesso tempo, esortò caldamente i crociati ad aspettare ed a non intraprendere niente di decisivo prima del suo arrivo. Questi, però, soprattutto spinti dal legato papale Pelagio che era alla loro testa, non vollero indugiare oltre. Nel luglio del 1221 avanzarono verso il sud, vennero circondati dall'acqua alta del Nilo e dalle truppe del sultano al-Kamil e, alla fine, dovettero abbandonare l'Egitto vergognosamente e senza alcun successo[4].
La cristianità dell'Occidente accolse la fatale notizia con dolore ed amarezza ed i capi dell'esercito crociato e lo stesso papa Onorio dovettero ascoltare gravi rimproveri.
Ma come stavano le cose riguardo ad una possibile correità di Federico?
Certo l'imperatore era sul serio disposto a partecipare alla crociata. Tuttavia, in quel momento ritenne ovviamente che fosse più urgente il consolidamento della sua posizione nei territori del suo diretto dominio; diversi argomenti erano a favore del suo punto di vista e, tra questi, persino la considerazione dello stesso progetto crociato.
Solo come monarca incontrastato in Europa Federico avrebbe potuto concentrare davvero in quella direzione tutte le forze ed assicurarne in certo qual modo il successo. Ciò nondimeno, passava troppo facilmente sopra gli ostacoli che lo separavano da quella meta e, su ciò, ingannava sé stesso e gli altri.
L'incertezza permanente circa la sua personale partecipazione aveva reso naturalmente più difficili i progetti dei crociati, trasformando la loro fiducia in una profonda delusione e favorendo così quell'atmosfera di malcontento e d'impazienza, nella quale Pelagio alla fine poté imporsi con la sua sconsiderata iniziativa.
Avrebbe dato Federico all'impresa una svolta più fortunata, se fosse stato presente a Damietta nell'estate 1221?
La sua dichiarazione retrospettiva del dicembre 1227 fa supporre che, in quel caso, al contrario di Pelagio, egli sarebbe stato probabilmente più propenso ad accettare l'offerta di al-Kamil e che, cioè, avrebbe optato per lo scambio della città conquistata con Gerusalemme. Nel qual caso, però, il litigio per la guida dell'esercito crociato forse si sarebbe acuito ancora di più[5].
Naturalmente, Onorio non fu parco di lamentele per l'indugio e la scarsa attenzione dell'imperatore ai problemi della crociata mentre Federico, da parte sua, subito si dichiarò pronto a compiacerlo in tutto e per tutto su questo problema. Il papa e l'imperatore si incontrarono due volte personalmente e, nel marzo del 1223, Federico si obbligò sotto giuramento ad iniziare la crociata alla festa di San Giovanni, cioè il 24 giugno 1225.
Per togliere ogni dubbio sulla serietà delle sue intenzioni giurò inoltre di sposare Isabella, la figlia del re Giovanni di Brienne ed erede del Regno di Gerusalemme cosicché, come disse egli stesso, in avvenire la responsabilità per la Terrasanta lo avrebbe legato tanto fortemente e durevolmente, quanto il suo matrimonio[6].
È molto probabile che la proposta del matrimonio di Federico con Isabella sia stata suggerita dal papa, che presumibilmente sperava di ottenere così un crociato molto più zelante. Infatti, Federico difficilmente avrebbe potuto negare questo segno della sua buona volontà, desiderato a quanto pare con una certa urgenza, tanto più che il papa ed i cardinali gli avevano promesso mezzi d'aiuto adeguati per il suo progetto crociato in sostituzione della dote, che certo non poteva attendersi da una sposa priva di mezzi. Quindi, all'impegno di Federico come crociato ed imperatore, d'ora in poi si aggiungeva un nuovo obbligo, un legame ancora molto più stretto e diretto alla Terrasanta: la sua costante responsabilità, come sovrano, per la sua sorte.
Però neanche allora cambiarono le priorità politiche dell'imperatore. Nel maggio del 1223 corse in Sicilia per vincere la resistenza dei saraceni in una lotta che durò quasi due anni. Nel frattempo, né la propaganda del papa per la crociata né gli sforzi di Giovanni di Brienne o del Gran Maestro dell'Ordine Teutonico Ermanno di Salza avevano trovato una gran risonanza nei regni europei. Per cui gli ambasciatori dell'imperatore, fra i quali gli stessi Giovanni ed Ermanno, riuscirono ad ottenere ancora una volta dal papa la concessione di una nuova proroga.
In seguito a ciò, nel luglio 1225 l'imperatore giurò che sarebbe partito per la Terrasanta nell'agosto del 1227. Giurò anche che avrebbe portato con sé 1.000 cavalieri e 150 navi da carico e galere da guerra e che avrebbe provveduto inoltre al passaggio di 2.000 cavalieri con il loro seguito e, alla fine, che avrebbe depositato, come pegno della sua onestà assoluta, 100.000 once d'oro. Queste avrebbero dovuto essere impiegate a favore della Terrasanta se lui, per una qualsiasi ragione, non avesse iniziato la crociata alla data fissata. Inoltre, in questo caso, lui stesso sarebbe stato senz'altro scomunicato[7].
La pianta di Gerusalemme (da una Cronaca del XII sec., Biblioteca Universitaria di Uppsala).
Senza dubbio Federico, con questo impegno, addossava su di sé e sui suoi sudditi, soprattutto quelli del Regno di Sicilia, un peso enorme, perché per la prima volta un progetto di crociata era diventato compito di un singolo monarca. Per giunta, a differenza di altri sovrani, lui non aveva subordinato la realizzazione del giuramento a riserve o a condizioni: e già questo è certamente un fatto stupefacente.
Il testo del giuramento, in tutti i suoi punti centrali, seguiva, probabilmente, la sua volontà. Messo poi in conto tutto ciò che era già stato fatto e che era disponibile, in effetti, i contributi promessi difficilmente superavano le possibilità del suo regno. Per di più il nuovo concetto di crociata corrispondeva alla nuova situazione giuridica determinatasi in dipendenza delle sue seconde nozze.
Egli sarebbe stato, e lo sarà, il primo sovrano dell'occidente che non partirà soltanto come crociato verso l'oriente, ma che sarebbe partito, al tempo stesso, come legittimo re della terra da conquistare[8]. Prima di ogni altra cosa, però, Federico era seriamente ed onestamente disposto a rendere a Dio alfine il debito di gratitudine promesso da lungo tempo ed a dedicarsi a quel compito con tutte le forze. Debito che, confortato e rafforzato nel suo devoto ottimismo dai sempre nuovi imprevisti, egli credeva fermamente che sarebbe riuscito ad adempiere con due anni in più di preparazione e senza trovare ostacoli.
Tenuto conto, tuttavia, delle passate esperienze da lui avute in particolare con il progetto crociato, avrebbe avuto anche tutte le ragioni per usare almeno l'abituale sua prudenza.
Già nell'agosto del 1225 l'imperatore cercò di dimostrare al pubblico in maniera inequivocabile quale importanza eccezionale intendesse attribuire in futuro ai problemi della Terrasanta. Per mantenere la sua promessa di nozze, trattata fino ad allora con una certa noncuranza, mandò ad Acri il vescovo Giacomo di Patti con una flotta considerevole.
Lì ebbero luogo, nello stesso mese, le sue nozze per procura con Isabella di Brienne, appena quattordicenne, e Giacomo di Patti fu il suo rappresentante durante la cerimonia religiosa. Poco dopo, a Tiro, alla presenza dei Grandi del regno, avvenne l'incoronazione di Isabella a regina di Gerusalemme e quindi la legazione imperiale, insieme ad Isabella ed ai rappresentanti del suo regno, fece ritorno velocemente in Italia meridionale dove Federico, il 9 novembre, nel duomo di Brindisi, questa volta in persona contrasse matrimonio con l'erede del Regno di Gerusalemme[9].
Nonostante la sorpresa e l'accanimento del suocero Giovanni di Brienne, Federico pretese subito dopo il matrimonio, nella sua qualità di marito di Isabella, il titolo ed i pieni diritti di re di Gerusalemme.
I vassalli del regno presenti alla sua corte gli resero senza indugio omaggio. Verso Capodanno il vescovo Richieri di Melfi, accompagnato da un gruppo di cavalieri siciliani, si recò ad Acri come procuratore degli interessi imperiali e ricevette poco dopo i giuramenti feudali dei baroni rimasti in Siria al loro nuovo signore imperiale[10].
Federico, senza dubbio, aveva diritto di procedere in tal modo. Evidentemente egli intendeva, anche per i gravi impegni che aveva appena assunto per la Terrasanta, di esercitarvi fin dall'inizio ed illimitatamente anche il potere regale e di evitare cosi nel contempo ogni conflitto di competenze.
Giovanni di Brienne, però, certamente si aspettava di rimanere in Oriente anche in futuro il personaggio di rango reale veramente determinante. La sua eliminazione, repentina e totale, lo ferì profondamente. Si lasciò trascinare ad un violento diverbio, a minacce, forse persino ad offese personali nei confronti dello Svevo e così rese la rottura ben presto insanabile. Fuggì in fretta oltre il confine del Regno Siciliano[11]. L'imperatore aveva un nemico intransigente in più, il papa un altro protetto.
Sebbene la crociata adesso offrisse allo Svevo anche l'occasione di esercitare subito il suo potere regale in Oriente per lui ovviamente così importante, egli continuava, come prima, a non affrettarsi eccessivamente in quella impresa.
Sperava, invece, di raggiungere prima ancora della partenza la sua ultima grande meta nel centro europeo del suo potere, di imporre cioè i diritti dell'impero in Lombardia. Solo dopo di ciò, dunque, e con il sostegno supplementare delle ricche risorse delle città lombarde, intendeva iniziare e compiere la sua spedizione contro i nemici della cristianità e nella migliore maniera, come si addiceva alla sua dignità imperiale. Però, così facendo, tirava troppo la corda. La sua permanenza nell'Italia settentrionale nella primavera e nell'estate 1226 non ottenne successo alcuno.
Per la prima volta aveva fallito totalmente in un campo così importante[12]. Da questo momento, per lui tutto dipenderà dal successo della crociata; il solo successo che avrebbe potuto migliorare di nuovo la posizione di Federico nei riguardi dei suoi avversari lombardi.
Così, la preparazione della crociata fu finalmente del tutto al centro delle attività imperiali. Federico riuscì a mantenere quasi completamente le promesse fatte nel 1225, probabilmente in gran parte a spese degli abitanti del Regno di Sicilia; però, la sua malattia gli impedì di partire ed anche questo grande progetto rischiò di fallire.
Tanto più perché il nuovo papa, Gregorio IX, sfruttò subito la situazione decisamente a suo favore. Deluso dal lungo tempo della gestione della crociata da parte di Federico e preoccupato inoltre profondamente per l'aspirazione dell'imperatore ad una posizione dominante nell'Italia settentrionale e meridionale, pronunciò allora la sua scomunica. Senza dubbio, aveva formalmente ragione, ma continuò a persistere nella sua decisione con sempre nuovi argomenti ed accuse, nonostante che Federico si giustificasse in modo nell'insieme convincente e chiedesse di essere assolto dalla scomunica facendo adeguata penitenza.
L'atteggiamento rigido di Gregorio gli tirò addosso, soprattutto in Germania, il rimprovero di ostacolare e mettere in pericolo con la sua intransigenza la continuazione fortunata della crociata[13].
Federico vedeva invece solo la possibilità di portare la crociata a buon fine, nonostante la scomunica e contro la volontà papale. In caso contrario avrebbe rischiato di dipendere totalmente dalle idee e dalla concezione del papa e di perdere, allo stesso tempo, ogni possibilità di affermarsi in Lombardia. Perciò, nella primavera del 1228, riprese energicamente i preparativi della crociata, obbligò i vassalli siciliani a dare somme notevoli di denaro ed a mettere a disposizione cavalieri; inoltre, ciascuna chiesa siciliana dovette pagare le spese per l'equipaggiamento e per il mantenimento di un certo numero di mercenari.
Già nell'aprile del 1228 aveva inviato avanti in Siria 500 cavalieri sotto il comando del maresciallo Riccardo Filangieri. Egli stesso, poi, in giugno, fu accompagnato probabilmente da altri 100 cavalieri del Regno di Sicilia e circa 200 cavalieri di Cipro lo seguirono quando partì da quell'isola. La sua flotta, abbastanza grande, fa presumere che portasse con sé 3.000 o più soldati a piedi.
Tutto sommato, comandava una forza militare che senz'altro poteva reggere il confronto con i precedenti eserciti crociati. E, a differenza dell'infelice tentativo del 1221, almeno buona parte delle sue navi era, con ogni probabilità, attrezzata anche per una manovra di sbarco nel delta del Nilo. La sua presenza significava soprattutto per l'Egitto una vera minaccia e, ovviamente, il sultano al-Kamil in questo modo l'aveva percepita[14].
La posizione di Federico nel Regno di Gerusalemme, però, era cambiata poco prima della sua partenza, perché, con la morte di Isabella avvenuta nel maggio del 1228, egli era divenuto solo il reggente del regno per conto di suo figlio Corrado, nato alla fine di aprile. I baroni del regno lo riconobbero come tale, ma considerarono questa differenza con grande attenzione.
Federico invece, non del tutto correttamente, mantenne il suo titolo di re, che alla fine fu accettato nel 1231 anche dal papa, sino alla sua morte, e Corrado, conformemente, si chiamò sino a quel momento heres regni lerusalem[15].
Federico riceveva informazioni molto attendibili sulla situazione in Oriente dai suoi confidenti che erano già sul posto. Inoltre, fin dall'inizio del 1227, anche legazioni dirette andavano e venivano tra lui e il capo musulmano più importante, il sultano d'Egitto al-Kamil.
Tuttavia, nell'estate del 1228 anche la posizione di al-Kamil era migliorata notevolmente rispetto all'anno precedente dopo la morte del fratello e suo maggiore rivale, regnante a Damasco. Perciò ora era molto incerto se al-Kamil avrebbe ancora mantenuto la promessa data in precedenza all'imperatore e se quindi avrebbe rinunziato a Gerusalemme[16].
Le trattative di Federico con al-Kamil di fatto si protraevano a lungo e diversi fattori avrebbero dovuto cooperare, alla fine, perché fosse possibile arrivare ad un accordo pacifico sulla consegna di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth e su una tregua della durata di dieci anni. Senza alcun dubbio lo stretto rapporto personale che univa ormai i due interlocutori immediati, favorì una soluzione di comune accordo dei difficili problemi e certamente anche l'atteggiamento di Federico contribuì a facilitare l'intesa.
Federico II incontra il sultano al-Kamil, dalla Cronaca del Villani.
Proprio in quei giorni, poi, l'imperatore aveva ricevuto notizie oltremodo inquietanti sugli sviluppi della situazione in Italia e sugli intensi preparativi militari del papa. La situazione, perciò, richiedeva con urgenza la sua presenza in Sicilia. Però, se egli fosse ritornato con un fallimento in Terrasanta, le probabilità di successo sarebbero state pressoché nulle anche in patria. D'altra parte, date le circostanze del momento, una guerra contro i suoi nemici musulmani, nonostante i suoi rispettabili mezzi militari, avrebbe comportato senza dubbio per lui un grande rischio.
Si mantenne così nei limiti delle trattative già in corso, rinunciando, per ottenere un rapido accordo, ad imporre maggiori pretese. Ma di grande e forse decisiva importanza fu probabilmente il fatto che anche al-Kamil si aspettava a breve termine un conflitto armato con un nipote di Damasco da lui truffato, conflitto che implicava anche per lui un vero rischio (l'assedio di Damasco, cominciato in marzo, finì nel giugno con la capitolazione della città.) In questa fase critica anche per lui era in ogni caso consigliabile evitare uno scontro simultaneo con l'imperatore, la cui forza militare gli aveva incusso preoccupazione e rispetto per lui fin dall'inizio[17].
Gli stati latini d'Oriente, nati dalle conquiste della prima crociata.
Nei mesi precedenti la partenza per l'Oriente, Federico aveva presentato la sua impresa molto chiaramente come crociata, come Cristi negotium o Christi servitium. Proprio in conformità a questa linea, dopo il suo ingresso nella città di Gerusalemme, festeggiò il successo come atto miracoloso di grazia divina verso il devoto popolo cristiano e verso il suo umile capo.
Questa valutazione corrispondeva senza dubbio ad un suo sincero sentimento e, allo stesso tempo, sottolineava assai chiaramente anche un'altro aspetto: nonostante tutte le ingiustizie, le diffamazioni e gli impedimenti da parte papale, egli aveva mantenuto il suo giuramento di fronte a Dio e compiuto il proprio dovere imperiale come più alto rappresentante secolare e protettore della cristianità. Dio stesso, portando l'impresa imperiale alla meta in un modo tanto straordinario ed impressionante, aveva mostrato di essere (per così dire) d'accordo con il giudizio dell'imperatore, accettando, diversamente dal papa, il servizio prestato e dandogli così in un certo qual modo ragione contro Gregorio.
Del resto, nella stessa accoglienza solenne riservata a Federico da parte della popolazione di Acri e dei pellegrini e crociati lì affluiti, evidentemente predominava la speranza che proprio il crociato imperiale potesse portare a soluzione i problemi della cristianità. La stessa speranza aveva indotto con molta probabilità anche i Templari e gli Ospedalieri a partecipare in questa occasione alle manifestazioni in suo onore. Inoltre, dopo il suo ingresso a Gerusalemme per la maggior parte degli accompagnatori di Federico, così come per il poeta tedesco Freidank, furono certo in primo piano il carattere crociato della loro impresa e la profonda felicità di aver visitato Gerusalemme e la chiesa del Santo Sepolcro grazie all'iniziativa dell'imperatore[18].
La presenza di Federico in Terrasanta ricevette così, in armonia con la sua sincera convinzione, l'impronta determinante della sua chiara posizione di crociato imperiale e di capo della cristianità, nelle quali vesti aveva direttamente servito Dio. Però, oltre a ciò, il sovrano si sforzò di reclamare ed imporre in Oriente i suoi diritti concreti di sovrano, sempre e con la massima energia.
Lo aveva già fatto del resto anche a Cipro dove, nonostante i problemi urgenti della vicina terraferma, si era dato per sei settimane da fare per ottenere l'effettivo riconoscimento della sua supremazia imperiale. Acquisì, infatti, la reggenza sull'isola e ricevette i giuramenti feudali dei suoi vassalli di Cipro. Tuttavia, il suo persistere in ulteriori pretese legali imperiali provocò ben presto un confronto pericoloso con Giovanni di Ibelin, il rappresentante dell'aristocrazia tanto potente a Cipro come nel regno di Gerusalemme.
All'inizio, il confronto riguardava anche il dominio di Giovanni su Beirut, perché Federico minacciava di negarglielo. Infine, si raggiunse un accordo e lo Svevo, durante il suo soggiorno in Siria, poté disporre anche dei servizi di Ibelin. Anche da queste trattative era risultato molto chiaramente l'intendimento di Federico di accentuare decisamente la sua posizione di re di Gerusalemme, di consolidarla e di estenderla senza lasciarsi in alcun modo condizionare dai titolari di vecchi diritti consuetudinari aristocratici[19]. Ed al rafforzamento del suo potere regale in Gerusalemme mirò certamente con il considerevole privilegio concesso ad Ermanno di Salza ed all'Ordine Teutonico in Terrasanta e, in primo luogo, nella stessa città di Gerusalemme.
Evidentemente, Federico non considerava gli uomini che aveva nominato suoi rappresentanti nel Regno di Gerusalemme al momento della sua partenza, cioè Baliano di Sidone e Guarnerio di Egisheim, unici garanti della realizzazione e della protezione durevole dei suoi diritti ed interessi regali. Piuttosto, credeva capaci di assolvere questo difficile compito anche e soprattutto l'Ordine Teutonico ed il suo abile ed esperto Gran Maestro, che era rimasto dalla sua parte anche durante la sua scomunica[20].
Federico evidenziò solennemente i due aspetti della sua presenza a Gerusalemme e delle sue attività in Oriente, quando si presentò in pubblico con la corona in testa. Volle così dimostrare, proprio vicino al sepolcro di Cristo, la gratitudine dell'imperatore ortodosso verso Dio per averlo splendidamente guidato durante la crociata. Ma, allo stesso tempo, volle far vedere in un modo impressionante che egli era l'attuale detentore dell'autorità regia a Gerusalemme.
È sorprendente, tuttavia, che in nessun documento si incontrino allusioni ad un aspetto escatologico: all'imperatore della fine dei tempi annunciato nelle profezie. L'accenno, poi, al fatto che Federico, con la sua incoronazione a Gerusalemme, fosse succeduto in modo definitivo e perfetto a Davide, si trova soltanto in una sola redazione della sua celebre enciclica crociata, redazione del resto non tramandata del tutto attendibilmente. Peraltro anche più tardi i documenti della cancelleria di Federico non nomineranno molto spesso il re Davide ed ovviamente non può attribuirsi a tali passi un significato particolare[21].
Federico lasciò Gerusalemme molto in fretta dopo appena due giorni, poi invece passò ben cinque settimane ad Acri tentando invano di sottomettere anche con la forza militare il locale patriarca ed i Templari. Probabilmente, considerò questo sorprendente conflitto come un atto necessario per la tutela della sua autorità regale, poiché il patriarca aveva ignorato, a quanto pare di proposito, la sovranità regia di Federico, reclutando arbitrariamente truppe per proteggere il regno. Tuttavia, a causa delle cattive notizie che provenivano dall'Italia, allo Svevo mancò il tempo per imporsi realmente ed anche i cinque reggenti, che aveva nominato durante la sua breve sosta a Cipro, non rimasero a lungo in carica[22].
Federico, certamente, sentì il suo viaggio nel Regno di Gerusalemme come una vera e propria crociata che lo aveva commosso profondamente ma, allo stesso tempo, diede uguale importanza al proposito di far valere ed imporre i suoi diritti di re di Gerusalemme.
La fede sincera nel suo impegno imperiale a proteggere i luoghi santi in Oriente e la preoccupazione per la difesa del suo potere nel Regno di Gerusalemme furono i due principali motivi che determinarono, anche in futuro e fino alla sua morte, l'atteggiamento di Federico verso la Terrasanta.
Certo, al suo ritorno dalla crociata i problemi della patria erano tornati decisamente in primo piano: in particolare, il conflitto con il papa, lo sforzo di consolidare ed ampliare il suo potere nel Regno di Sicilia e, più tardi, la lotta per la realizzazione dei diritti imperiali nell'Italia settentrionale. Ciò nonostante, egli non dimenticò mai del tutto la sua responsabilità per la Terrasanta, di cui all'inizio si era occupato in primo luogo nella sua posizione di re.
Per mantenere la sua influenza regale, nel 1231 ordinò ai suoi vassalli del Regno di Sicilia, compresi i vassalli ecclesiastici, di mettere a disposizione cavalieri per la Terrasanta.
Nell'estate seguente, dal suo regno partì un esercito sotto il comando di Riccardo Filangieri, che già a Cipro incontrò le prime difficoltà e non poté nemmeno far sbarcare la flotta imperiale. Giovanni di Ibelin, infatti, era riuscito a scacciare il consiglio imperiale di reggenza ed egli stesso dalla primavera del 1230 aveva ripreso il dominio assoluto sull'isola.
Riccardo, quindi, dovette proseguire il viaggio fino a Tiro, che fu per i successivi dieci anni la sua più importante base e, assieme a Gerusalemme, l'unico luogo di cui poté disporre senza alcun ostacolo. I baroni del regno lo avevano riconosciuto formalmente come luogotenente di Federico, anche se la gran maggioranza di loro ben presto si volse contro di lui. Con ogni probabilità i più temevano che un forte governo svevo prendesse un corso decisamente antiaristocratico ed il tentativo di Riccardo di cacciare Giovanni di Ibelin da Beirut li rafforzò nella loro resistenza.
Si può supporre che Riccardo agisse per ordine di Federico, che certo considerava gli interventi di Giovanni a Cipro come una grave rottura di fedeltà da parte del suo vassallo. L'attacco di Riccardo a Beirut certamente contraddisse le consuetudini giuridiche del regno ed anche autorevoli personaggi come Baliano di Sidone ed Oddone di Monbéliard, che per principio erano piuttosto benevolmente orientati verso il potere svevo, rimasero fortemente irritati dal comportamento autoritario di Riccardo.
Il centro della resistenza era costituito dall'aristocrazia e dalla borghesia della città di Acri unite in una communitas, ma Giovanni di Ibelin agiva come capo dell'opposizione anche nel Regno di Gerusalemme. Sebbene Riccardo lo avesse sconfitto nel maggio del 1232, non fu tuttavia in grado di imporsi veramente su di lui ed il suo successivo tentativo di riconquistare Cipro fallì completamente. Con la perdita definitiva dell'isola nell'estate del 1233 la parte sveva, per la mancanza di rinforzi adeguati dall'Occidente, non fu più in grado di ampliare ancora la sua già piuttosto limitata posizione sulla terraferma siriana[23].
Molto probabilmente, dopo la primavera del 1233 Federico si impegnò in trattative per ottenere un accomodamento con i baroni della Siria ed il papa, che allora sperava nel suo appoggio, ne sostenne il proposito. I punti più controversi erano, in particolare, la facoltà di insediare il luogotenente del regno ed il trattamento della communitas di Acri.
Il vescovo di Sidone, che agiva nel regno per incarico dell'imperatore, fallì come pure fallì Ermanno di Salza, che più volte agì da pacificatore imperiale in Oriente. Come tutti i suoi precedenti tentativi anche l'ultimo, verso la fine del 1235, rimase senza successo. Il testo del contratto da lui negoziato con due delegati di Acri alla curia papale a Viterbo con l'assistenza del papa, certamente corrispondeva abbastanza bene alle idee imperiali ma, proprio per questo, ad Acri incontrò un rifiuto indignato ed i suoi latori lo avrebbero pagato quasi con la vita[24].
Quando Giovanni di Ibelin morì, nel 1236, i suoi discendenti e parenti ne assunsero i poteri e mantennero il ruolo dominante della casa: la scadenza nel 1239 della tregua di Federico con al-Kamil non cambiò sostanzialmente le condizioni, anche perché i figli del sultano erano tra loro in lite per la successione.
La situazione nel regno si inasprì solo quando il partito degli Ibelins, probabilmente nell'aprile del 1242, riferendosi al raggiungimento della maggiore età di Corrado IV, dichiarò scaduto ogni obbligo verso Federico e verso il suo luogotenente a Tiro e, nello stesso tempo, annunciò di riconoscere come reggente, finché il nuovo re non si fosse presentato in persona nel paese, il parente ed erede più vicino di Giovanni presente nel regno. I baroni realizzarono tale loro intendimento e lo mantennero fino alla morte di Corradino, avvenuta nel 1268, senza che la posizione dominante degli Ibelins fosse mai messa in pericolo.
Nell'anno 1242 iniziò sotto la loro direzione l'assedio di Tiro e Riccardo Filangieri si vide ben presto costretto a capitolare con i suoi compagni ed a lasciare il regno[25].
La caduta definitiva di Gerusalemme avvenne nell'estate del 1244, senza che nulla potessero fare per evitarla né i baroni locali né il re Luigi IX di Francia, che partirà poi nel 1248 per la sua crociata.
Una sorte amara toccò in patria a Riccardo Filangieri. Appena arrivato alla corte del suo signore, l'imperatore lo fece gettare in carcere a causa del suo fallimento. È vero che nel 1244 ottenne di nuovo la libertà su richiesta del conte Raimondo di Tolosa, ma dovette lasciare il Regno di Sicilia ed andare in esilio a Tolosa. Il comportamento di Federico verso il suo luogotenente di tanti anni fa stupire alquanto anche perché, dopo l'insuccesso dei suoi sforzi per la pace, dunque al più tardi nel 1236, Federico aveva dovuto ammettere che Riccardo, senza un consistente aiuto di truppe siciliane, aveva combattuto una battaglia già perduta[26] e, del resto, il luogotenente fin dall'inizio del suo mandato non aveva certo brillato per particolari capacità diplomatiche o per eccelse prestazioni militari.
Lo Svevo continuò comunque a preoccuparsi della sua posizione regale in Terrasanta. Nel 1242, vi aveva mandato come suo nuovo luogotenente e legato un collaboratore provato e conoscitore esperto: il conte Tommaso di Acerra. Ma la situazione disperata che Tommaso trovò lo costrinse alla più assoluta passività[27].
Al pensiero per la difesa dei suoi diritti regali nel Regno di Gerusalemme Federico aggiunse ben presto l'idea di una nuova crociata. Già dalla fine dell'anno 1235, Gregorio IX aveva cercato insistentemente di distoglierlo dal continuare nella lotta contro i Lombardi accennando all'importanza di un'azione comune dei cristiani sotto la direzione imperiale per la protezione della Terrasanta. Tanto che si rimproverò al papa di servirsi dell'idea crociata per alleggerire la situazione dei suoi amici lombardi.
Federico, però, aveva accolto di buon grado la raccomandazione papale e abilmente la sfruttò secondo le sue intenzioni. La sua lotta per i diritti dell'impero e per la pace nell'Italia settentrionale, così aveva argomentato, era soltanto il primo stadio e la premessa della sua futura crociata[28].
Dopo la seconda scomunica dello Svevo, che Gregorio giustificò asserendo, tra l'altro, che Federico volesse impedire proprio la crociata, il contrasto fra papa ed imperatore si aggravò rapidamente e drammaticamente e nelle discussioni successive la problematica crociata fornì sempre nuovi importanti argomenti di litigio. Entrambe le parti si accusarono a vicenda violentemente di voler bloccare questo progetto essenziale per egoismo e persistendo con ostinazione nelle proprie posizioni.
Durante le trattative di pace con Innocenze IV e soprattutto dopo la caduta di Gerusalemme, nell'estate del 1244, Federico più volte si era dichiarato pronto a condurre una crociata, persino a proprie spese, purché gli fosse concessa l'assoluzione e fosse di nuovo accolto nella Chiesa. Nell'anno 1246, a quanto pare, offrì al papa perfino di recarsi personalmente in Oriente e di lottarvi fino alla morte per il ripristino illimitato del Regno di Gerusalemme, purché suo figlio Corrado ottenesse al posto suo la dignità imperiale[29].
La propaganda di Federico non restò comunque senza effetto. Luigi IX di Francia, ad esempio, la cui crociata fin dall'inizio era stata sostenuta con energia dall'imperatore, probabilmente già nel 1249 aveva chiesto al papa l'assoluzione di Federico per questo suo impegno. Poi, nel 1250, tramite i suoi fratelli, fece fare pressioni sul papa a concederla con urgenza, perché soltanto Federico avrebbe potuto ancora volgere al meglio la situazione in Siria.
Anche in Terrasanta si vedevano le cose in modo abbastanza simile e, dopo la sfortuna di Luigi, tutti speravano in Federico, stando almeno a quanto aveva riferito un Templare proveniente dalla Siria, che rimproverava al papa di avere più volte respinto ostinatamente l'offerta del sovrano di liberare la Terrasanta in compenso della sua riconciliazione con la Chiesa[30].
Federico, certo, non si mise per una seconda volta in cammino per Gerusalemme. Ma come fino alla sua morte non aveva mai rinunciato al titolo di re di Gerusalemme così, nei suoi ultimi giorni di regno, continuò a preoccuparsi di quel suo regno lontano, disponendo nel suo testamento che non meno di 100.000 once d'oro dovessero essere devolute per la salute della sua anima ai problemi della Terrasanta[31].
L'entusiasmo autentico per la crociata, l'intenzione di eccellere in Oriente come imperatore e capo della cristianità e la difesa dei suoi diritti di re di Gerusalemme sono dunque componenti fondamentali che determinarono l'atteggiamento di Federico verso la Terrasanta, anche se naturalmente non sempre si manifestarono con la stessa intensità.
Tutto sommato, dopo il 1229 l'idea della crociata ebbe probabilmente per lo Svevo piuttosto il significato di uno strumento politico, con il quale volle tenere il papa dalla sua parte per costringerlo poi a riconoscere la posizione sveva, anche se destinata a passare nelle mani di suo figlio Corrado. Senza alcun dubbio, però, si può credere che, se avesse ottenuto la concessione richiesta, egli avrebbe intrapreso un'altra crociata.
L'imperatore abbastanza regolarmente si impegnò, soprattutto negli anni trenta, per il consolidamento ed il rafforzamento del potere regio nel Regno di Gerusalemme, senza peraltro riuscirci.
Certamente, il suo accordo di pace con il sultano impedì che la lotta dell'aristocrazia contro il suo luogotenente mettesse in pericolo la stessa esistenza del regno. Ma l'occasione offerta dalla pace per stabilizzare la situazione interna del paese non fu colta. È sicuramente vano chiedersi ora se Federico avrebbe potuto volgere le cose al meglio con la sua presenza continua in Oriente. Per lo Svevo la lotta per i suoi diritti nell'impero e nel Regno di Sicilia, considerati come base della sua posizione, era sempre di gran lunga in primo piano, dal suo punto di vista e probabilmente ben a ragione. Del resto, difficilmente si può pensare che l'aristocrazia del Regno di Gerusalemme in quel momento si sarebbe sottomessa, senza combattere, ad un monarca forte. Ovviamente, furono necessarie le brutte esperienze dal 1244 in poi, prima che i baroni del regno fossero disposti ad affidarsi, almeno per un periodo limitato, ad una personalità come quella di Luigi IX.
Traduzione a cura di Waldemar Eistermeier.
Note:
[1] Saggio inviatoci dal prof. Stürner sulla base della relazione da lui tenuta a Bari nel corso delle XIV Giornate Normanno-Sveve del 17-20 ottobre 2000, pubblicate a cura del prof. Giosuè Musca per Edizioni Dedalo 2002.
[2] Le note seguenti indicano soltanto le fonti più importanti. Per un approfondimento vedi W. Stürner, Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania 1194 - 1220, Roma, 1998, pp. 178 - 188, 240 - 251, 257 - 264; ID., Friedrich II. Teil II, Der Kaiser 1220-1250, Darmstadt, 2000, pp. 85, 115, 130, 169, 320, 321, 525, 527, 585, 586, con un'ulteriore bibliografia ed indicazioni dettagliate delle fonti.
[3] Cfr. MGH, Epp. saec. XIII, 1, pp. 104 - 106, nr. 146 - 149, p. 111, a nr. 157; MGH, Const. 2, p. 150, nr. 116.
[4] MGH, Epp. saec. XIII1, p. 112, nr. 159; MGH, Const. 2, pp. 150 -151, nr. 116. Sulla quinta crociata: J. M. POWELL, Anatomy of a Crusade. 1213 - 1221, Philadelphia, Penn. ,1986, in particolare pp. 172 - 193.
[5] MGH, Const. 2, p. 151, lin. 16 - 20, nr. 116. Cfr. POWELL, Anatomy of a Crusade cit, pp. 77 - 78, 112 -118, 184 - 185, 188, 191, 201 - 203; H. E. MAYER, Geschichte der Kreuzzuge, Stuttgart, 8 1995, p. 203.
[6] MGH, Epp. saec. XIII1, pp. 152 - 155, nr. 225, cfr. p. 149, nr. 220, p. 157, nr. 227; Acta Imperii inedita saec. XHI et XIV, ed. E. Winkelmann, Innsbruck, 1880 - 1885, voi. 1, pp. 237 - 238, nr. 261 (Federico, 5.3 1224).
[7] MGH, Const. 2, pp. 129-131, nr. 102-103.
[8] Vedi in particolare R. HIESTAND, Friedrich 11. una der Kreuzzug, in Friedrich IL Federico II, a cura di A. ESCH e N. KAMP, Tübmgen, 1996, pp. 135 - 136.
[9] Estoire d'Eracles, XXXII 20, in Recueil des Historiens des Croisades, II, Paris, 1859, pp. 357 - 358; FILIPPO DA NOVARA, Guerra di Federico II in Oriente (1223 - 1242), cc. 13, 20, a cura di S. MELAMI, Napoli, 1994, pp. 70, 76; Breve chronicon de rebus Siculis, ad a. 1225, a cura di J.-L. A HUILLARD-BRÉHOLLES, in Historia diplomatica Friderici Secundi (= HB), voi. 1, Paris, 1852, pp. 896 -897.
[10] Estoire d'Eracles cit. pp. 358 -359; su Richieri cfr. N. KAMP, Kirche und Monarchie im staufìschen Konigreich Sizilien, Mùnchen, 1975, pp. 489 - 491.
[11] Estoire d'Erades, cit., pp. 358 - 360; Chronique d'Ernoul e. 39, a cura di L. DE MAS LATRIE, Paris, 1871, pp. 451 - 453; RYCCARDI DE SANCTO GERMANICO, Chronica, ad a. 1226, a cura di C. A. GARUFI, Bologna,1936 - 1938, p. 136. Cfr. H. E. MAYER, Das Pontifikale von Tyrus una àie Kronung der lateinischen Konige von Jerusalem, in Dumbarton Oaks Paperi 21 (1967) pp. 201 - 202.
[12] Cfr.W. STÜRNER , Friedrich cit., Teil 2, pp. 98 - 115.
[13] MGH, Epp. saec. XIII 1, pp. 281 - 285, nr. 368 (Gregorio IX; 10.10.1227), pp. 286 - 287, nr. 370 (Idem, 12.1227); cfr. HB 3, pp. 74 - 75 (idem; 5.8.1228); MGH, Const. 2, pp. 148 - 156, nr. 116 (Federico II; 6.12.1227). Cfr. BURCHARD VON LfRSBERG, Chronik cit, ad a. 1227, ad a. 1228, MGH, SS rer. Germ. 16, pp. 122, 125; Notae S. Emmerammi cit., ad a. 1225, MGH, SS 17, pp. 574 - 575; FREIDANKS, Bescheidenheit 157, 17 - 28, 162, 4 - 25, a cura di W. SPIEWOK, Greifswald, 1996, pp. 132, 138.
[14] RYCCARDI DE SANCTO GERMANICO, Chronica cit, ad a. 1227 - 1228, pp. 148 - 150; HB 3, p. 58; Estoire d'Erades cit, XXXIII 1 e 4 ,pp. 366, 369; FILIPPO DA NOVARA, cit, cc. 30 - 31 (126 - 127), 39 (135) (come n. 8) pp. 82 - 84, 86, 100; Breve chronicon, cit, ad a.1228 (come n. 8) p. 898. Cfr. }. H. PRYOR, The Crusade of Emperor Frederick II, 1220 - 29: The Implications of thè Maritime Evidence, in, The American Neptune 52 (1992) pp. 127 - 132.
[15] Breve chronicon cit, ad a. 1228, p. 898; RYCCARDI DE SANCTO GERMANICO, Chronica, cit, ad a. 1228, p. 150. Cfr. H. E. MAYER, Das Pontifikale, cit, p. 202; R. HIESTAND, lerusalem et Sicilie rex - Zur Titulatur Friedrichs II., in Deutsches Archiv 52 (1996), pp. 181 - 189.
[16] RYCCARDI DE SANCTO GERMANICO, Chronica, cit., ad a. 1228, pp. 149 -150; Chronique d'Ernoul dt.,c. 40, p. 458. Cfr. H. L.GOTTSCHALK, Al-Malik al-Kamil von Egypten una seine Zeit, Wiesbaden, 1958, pp. 132 - 152.
[17] La tregua con al-Kamil: MGH, Const. 2, p. 162, lin. 3 - 23, nr. 121, p. 168, lin. 19 - 28, nr. 123, p. 165, lin. 6 - 13, nr. 122; cfr. MGH, Epp. saec. XIII 1, p. 301, lin. 8 - 20, nr. 384, pp. 297 - 298, nr. 380. Cfr. H. KLUGER, Hochmeister Hermann von Salza una Kaiser Friedrich II, Marburg,1987, pp. 87 - 95; H. L. GOTTSCHALK, Al-Kamil cit, pp. 156 - 158, 160 - 167.
[18] MGH, Const. 2, pp. 162-167, nr. 122 (Federico; 18.3.1229), cfr. p. 155, lin. 8 - 10, nr. 116 (6.12.1227), HB 3, p. 60 (4.1228). FREIDANKS, Bescheidenheit dt.,160, 6 - 17, 161, 7 - 22 , p. 136, cfr. Annales Scheftlarienses ad a. 1229, MGH, SS 17, p. 339, BURCHARD VON URSBERG, cit, a. 1229, p. 125. Acri: ROGERI DE WENDOVER, Flores Historiarum, a cura di H. G. HEWLETT, voi. 2, London, 1889, p. 351 (= MGH, SS 28, p. 61).
[19] Esterne d'Eracles cit., XXXIII 1 - 4 , pp. 367 - 369; FILIPPO DA NOVARA, cit., cc. 30 (126) - 40 (136), pp. 82 - 102; cfr. Breve chronicon cit., ad a. 1228 p. 900; inoltre J. RICHARD, Le Midi italien vu par les pèlerìns et les chroniques de Terre Sainte, in Centro di studi normanno-svevi, Bari. Atti 13 (1999), in particolare pp. 353 - 354, 356 - 358; S. MELAMI, Lotta politica nell'Otremare franco all'epoca di Federico II, in Federico II e le nuove culture, Spoleto, 1995, pp. 89 - 111.
[20] Sui privilegi per l'Ordine Teutonico vedi H. KLUGER, Hochmeister cit., pp. 123 - 140.
[21] Cfr. W. STÜRNER, Friedrich cit., Teil 2 , pp. 160 - 162, con n. 155.
[22] HB 3, pp. 137 - 140 (Geroldo, patriarca di Gerusalemme), cfr. MGH, Epp. saec. XIII I, pp. 316 - 317, nr. 397 (Gregorio IX; 18.7.1229); RYCCARDI DE SANCTO GERMANO, Chronica cit., ad a.1229, pp. 159 - 160; Breve chronicon cit., ad a. 1228, p. 902; FIEIPPO DA NOVARA, cit, cc. 42 (138) - 43 (139), pp. 102 - 104; Estoire d'Erades cit, XXXIII 9, p. 375.
[23] Su Riccardo: RYCCARDI DE SANCTO GERMANO, Chronica cit., ad a. 1231, pp. 173, 175; Breve chronicon cit., p. 904; cfr. N. KAMP, Filandieri, Riccardo, in Dizionario Biografico degli Italiani 47 (1997), pp. 590 - 595. Cipro e Gerusalemme dopo il 1229: FILIPPO DA NOVARA, cit.,cc. 44 (140) - 138 (234), pp. 104 - 242; Estoire d'Erades cit., XXXIII 10 - XXXIV 1, pp. 376 - 439.
[24] FILIPPO DA NOVARA tit, cc. 109 (205) - 112 (208), pp. 202 - 208; Estoire d'Eracles cit., XXXIII 40 - 41, pp. 406 - 407; MGH, Epp. saec. XIII1, p. 471, nr. 578, pp. 481 - 482, nr. 594, pp. 570 - 573, nr. 673 - 675; cfr. H. KLUGER, Hochmeister cit., pp. 177 - 184.
[25] FILIPPO DA NOVARA, cit., cc. 126 (222) - 138 (234), pp. 222 - 242.
[26] Sull'aiuto di Federico per Riccardo cfr. HB 5, pp. 739 - 740 (8.2.1240), HB 5, pp. 848 - 849 (16.3.1240), HB 5, p. 901 (15.4.1240); vedi inoltre HB 5, p. 587 (16.12.1239), HB 5, p. 694 (25.1.1240).
[27] RYCCARDI DE SANCTO GERMANO, C/ironica cit., ad a. 1242 (giugno), p. 215, HB 6, p. 117 (31.8.1243), HB 6, p. 623 (25.5.1248); cfr. Aquino, TOMMASO D'AQUINO, in Dizionario Biografico degli Italiani 3 (1961) pp. 676 - 678.
[28] MGH, Epp. saec. XIII 1, p. 577, nr. 678 (21.3.1236); critica: MGH, Epp. 1, p. 589, nr. 692 (Ermanno di Salza; 10.6.1236), cfr. W. STÜRNER, Friedrich cit., Teil 2, pp. 317 - 320 con n. 102. Federico: HB 4, pp. 879 - 880 (5. 1236), MGH, Const. 2, pp. 267 - 268, nr. 200 (4) (5. 1236).
[29] MGH, Const. 2, p. 342, nr. 252 (1) (8.1244); MATTHAEUS PARISIENSIS, Chronica malora, ad a. 1244, a cura di H. R. LUARD, London, 1872 - 1883, voi. 4, pp. 300 - 305 (26.2.1245), ad a. 1245, ivi pp. 431 - 433 (26.6.1245), ad a. 1246, ivi p. 523, cfr. ad a. 1250, ivi voi. 5, p. 99.
[30] MATTHAEUS PARISIENSIS, cit, ad a. 1249, voi. 5, p. 70, ad a. 1250, pp. 174 - 175, 188 - 189; Templare: MATTHAEUS PARISIENSIS, Adattamento., VI, pp. 191 -197, in particolare p. 197.
[31] MGH, Const. 2, p. 386, nr. 274 (6).