LA SCUOLA POETICA SICILIANA
LA SCUOLA POETICA SICILIANA
a cura di Alberto Gentile
I RIMATORI
Nella prima metà del XIII secolo la forma linguistica dei trovatori e le nascenti letterature romanze raggiungono le loro prime compiute espressioni; in mezza Europa si afferma un idioma più moderno, adeguato alle esigenze di comunicazione delle classi "borghesi" emergenti, derivato dalla parlata corrente.
In Italia invece il latino resiste come lingua d’arte e come lingua ufficiale, relegando i dialetti all’uso quotidiano del volgo.
Federico ha l’intuizione: assieme ai letterati della sua Corte innalza l’antico dialetto apulo-siculo al rango di "siciliano illustre" con due precise finalità:
agevolare i rapporti culturali, commerciali ed umani;
porre le premesse per l’unificazione della Penisola che deve essere culturale prima che politica.
In questa ottica, Federico è il promotore e il mecenate presso la sua Corte di una cerchia di poeti e lui stesso compone liriche di ottimo valore letterario.
Si anima così un nuovo movimento, tra i più importanti della letteratura italiana delle origini, che anticipa la Scuola Toscana e il Dolce Stil Novo. Grazie all’aria di aristocrazia che spira nella Palermo imperiale, il "volgare" è elevato a dignità poetica di raffinata eleganza.
In opposizione al gusto precedente, pervaso da sentimenti religiosi e penitenziali, i poeti di Corte — che Dante nel De Vulgari Eloquentia definisce "i Siciliani" — confermano i contenuti propri degli ideali cortesi: celebrano le gioie e i tormenti dell’amor profano, la bellezza della donna amata, il desiderio dei sensi…
Rappresentazione medievale dell'amor cortese, Codex Palatinus Germanicus 848 (Codex Manesse).
Numerose sono le testimonianze che provano l’influenza del trovatori di Provenza in Sicilia, terra permeata di influssi arabi e magno-greci. Costanza d’Aragona, prima moglie di Federico, porta nella corte di Palermo canzoni e trovatori provenzali; durante il suo soggiorno viene incoronato poeta un cantastorie che nel 1213 entra nell’Ordine francescano con il nome di frate Pacificus.
La Scuola ha importanti testimoni. Ecco a tal proposito il giudizio di Dante: "E veramente gli illustri eroi Federico imperatore e Manfredi, degnamente nato da lui, tutta manifestando la nobiltà e la dirittura della loro anima, finché la fortuna lo permise, visser da uomini, sdegnando viver da bruti. E perciò coloro che erano nobili di cuore e forniti di doni divini cercarono di stare sempre vicini alla maestà di principi così grandi, di modo che tutto ciò che al tempo loro anime eccelse d’Italiani, sforzandosi, riuscivano a compiere, primieramente nella reggia di sì grandi sovrani veniva alla luce; e poiché regale era la Sicilia, avvenne che quanto i predecessori nostri produssero in volgare si chiamasse siciliano". Dal canto suo il Petrarca afferma che "...in breve tempo il modo di poetare rinato in Sicilia si espanse in tutta Italia e anche più lontano".
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