Ma l'imperatore svevo fu conservatore o innovatore?
Ma l'imperatore svevo fu conservatore o innovatore? (vedi Nota 1)
di Hubert Houben (vedi nota 2)
Su pochi personaggi del Medioevo i giudizi sono stati così contrastanti come su Federico II. I suoi seguaci lo celebravano come il principe della pace e l'imperatore-messia. I suoi antagonisti, invece, lo condannavano come un epicureo, un ateo che non credeva alla risurrezione e al giudizio divino, come un tiranno, un "martello di Dio" simile ad Attila o Nerone, o persino come l'incarnazione dell'Anticristo.
Anche tra gli storici moderni i giudizi sul personaggio e sulla sua politica sono contrastanti. Da una parte gli ammiratori come Jakob Burckhardt che lo ritenne "il primo uomo moderno sul trono"; Friedrich Nietzsche che ammirò in Federico II il grande spirito libero, l'ateo, il genio, il "super-uomo"; Franz Kampers che lo ritenne "battistrada del Rinascimento"; e ultimo, ma non ultimo, Ernst Kantorowicz, che con la sua biografia, pubblicata nel 1927, contribuì notevolmente alla mitizzazione dell'imperatore svevo. Positivo fu anche il giudizio di Gabriele Pepe che, nel 1938, sottolineò la "modernità" di Federico II. Ancora nel 1964 uscì in Germania una biografia di Federico II con il sottotitolo di "Mutator mundi". Diverso era ed è il giudizio di alcuni storici di lingua inglese.
L'americano Thomas Van Cleve che pubblicò nel 1972 una biografia di Federico II lo ritenne un "immutator mundi", quindi uno che ha cambiato nulla, un conservatore insomma. Simile è il giudizio di uno storico di Cambridge, David Abulafia, che anch'egli autore di una biografia del sovrano normanno-svevo, pubblicata nel 1988 (ediz. ital. 1990) lo ritenne un "normale" imperatore medievale. Anzi, come spiegò in un'intervista di alcuni anni fa, fu "un conservatore incallito", un uomo che guardò più indietro che in avanti, orientando la sua politica sostanzialmente al modello dei suoi nonni, cioè di Federico I Barbarossa e di Ruggero II di Sicilia. Quindi per Abulafia Federico II fu un uomo del dodicesimo secolo più che del tredicesimo. Analizzando alcuni aspetti centrali dell'opera di Federico II, quali la legislazione, la politica amministrativa, la politica economica, la crociata e la lotta con il papato si possono però cogliere più elementi innovativi che conservatori.
Nelle costituzioni di Melfi, promulgate nel 1231, Federico II dichiara chiaramente di voler dare un nuovo indirizzo di sviluppo al Regno di Sicilia. Nel § 38 del libro I dichiara infatti di voler produrre, dal grembo della natura, nuove leggi: "De naturae grembo nova iura producimus". Infatti, a differenza dalla legislazione normanna (le "Assise di Ariano"), ora viene abolito, almeno in teoria, tutto il diritto consuetudinario. La volontà di rinnovamento emerge anche da singole norme come quella del divieto dell'ordalia (il "giudizio di Dio") e dalla forte limitazione del duello giudiziario. Come ha osservato uno storico del diritto, Hermann Conrad, Federico II rifiutò l'ordalia ed il duello giudiziario perché fondati su concezioni irrazionali, adducendo motivazioni di carattere razionale, naturalistico e giuridico. Anche nell'amministrazione del Regno, costruito da Ruggero II sul principio dell'assolutismo regio ma in cui erano rimasti in vigore alcuni elementi appartenenti al sistema feudale, Federico II introdusse alcune novità importanti.
Anzitutto il principio della territorialità, dividendo tutto il regno in province chiamate "giustizierati". Fu così spezzato il sistema feudale basato su rapporti di natura personale. Inoltre fu creato un nuovo tipo di funzionario statale sconosciuto finora nel Medioevo europeo. Il funzionario statale si distingueva dalla società feudale come un rappresentante dello Stato centrale. La sua carica era a tempo determinato, egli doveva avere una specifica preparazione professionale, e, infine, doveva rendere conto per iscritto del suo operato. In compenso egli fu stipendiato dallo Stato che gli concedeva uno stato giuridico particolare ponendolo al di fuori del tradizionale sistema feudale. In questo senso il regno normanno di Sicilia, così il giudizio di un suo eminente conoscitore come Norbert Kamp, può essere considerato un modello storico per altri Stati medievali. Un'altra novità era la fondazione dell'Università di Napoli, la prima Università statale del Medioevo, che aveva lo scopo della formazione professionale di una "nuova classe di burocrati" legata strettamente alla monarchia.
Anche se l'Università partenopea al tempo di Federico II non entrò mai in pieno funzionamento, l'idea sopravvisse e fu pienamente realizzata, più tardi, da Carlo I d'Angiò. La fondazione dell'Università di Napoli deve comunque essere considerata un'opera assolutamente innovativa, la cui realizzazione fu soltanto impedita da circostanze politiche avverse. Importanti novità furono introdotte da Federico II anche con la costruzione di un sistema capillare di castelli che doveva garantire allo Stato un pieno controllo sul territorio. Si è osservato che l'amministrazione dei castelli realizzata dall'imperatore fu "un tipo di organizzazione di sorprendente modernità". Per quanto riguarda l'economia sarebbe anacronistico pretendere da un sovrano medievale una "Politica economica" nel senso moderno che presuppone delle riflessioni teoriche sui processi economici. I re medievali non consideravano l'economia dei loro paesi un valore per sé che doveva garantire una prosperità economica generale, ma pensarono in primo luogo come potessero aumentare le entrate.
Anche Federico II aveva continuamente bisogno di soldi per le sue guerre e per la sua frenetica attività edilizia rivolta specialmente ai castelli. Fu comunque il primo sovrano che introdusse interventi diretti statali nei processi economici. Così introdusse il monopolio del sale. Mentre i re normanni si erano limitati a mettere una tassa sul trasporto del sale, Federico II affidò la gestione delle saline direttamente alla corona creando il primo monopolio di Stato del Medioevo.
Un argomento per la tesi di Federico II "immutator mundi" potrebbe essere considerato il fatto che egli fece una crociata. Ma la crociata dell'imperatore svevo era profondamente diversa da quelle a cui avevano partecipato i suoi antenati tedeschi. Mancava anzitutto una premessa indispensabile per una vera crociata, cioè la collaborazione tra potere politico e potere ecclesiastico.
Finora era stato sempre rispettato il diritto del papato di proclamare la crociata e quindi di stabilire l'inizio di una tale azione. Federico II, invece, nel 1228, osò procedere alla crociata senza previa consultazione con il Papa. Inoltre, e ciò era inaudito, l'imperatore era ancora sotto la pena di scomunica per aver più volte rimandata una crociata in collaborazione con la Chiesa, solennemente promessa. Ancora, Federico II nella sua "crociata" non cercò di liberare Gerusalemme con una sanguinosa guerra contro gli infedeli, ma preferì accordarsi con il sultano d'Egitto al-Kamil. Questi concesse ai cristiani libero accesso a Gerusalemme, mentre l'imperatore, e questo suscitò ulteriore scandalo, concedette ai musulmani, oltre al possesso dei dintorni della città anche un enclave in Gerusalemme stessa. Diversamente dalla crociata di Federico Barbarossa quella di suo nipote non aveva più una prevalente motivazione religiosa ma piuttosto politica. Federico II, dopo aver subito la scomunica, aveva bisogno di un successo che gli restituiva prestigio agli occhi del mondo cristiano europeo.
Del tutto impensabile per il secolo XII è la radicalità con cui l'imperatore condusse la "lotta finale" con il papato, in seguito alla scomunica rinnovata nel 1239 da Gregorio IX. Secondo Schaller, Federico II propagò nell'ultimo decennio della sua vita una ideologia imperiale impregnata di tratti "pagano-antichi". Egli si fece rappresentare come "dominus mundi", come il dominatore del cosmo, come la divinità del sole ("deitas solis"). Forse da interpretare come una raffigurazione della Gerusalemme celeste sarebbe, secondo lo stesso studioso, Castel del Monte a causa della sua forma ottagonale identica a quella della corona imperiale. Insomma, l'ideologia imperiale federiciana fu probabilmente l'ultima e la più estrema espressione delle idee antiche sulla divinità della maestà imperiale e sul suo dominio sul mondo. Non si trattava di concetti "reazionari", ma, per il suo tempo, altamente "moderni". La sacralizzazione del sovrano contribuì, insieme con la sua lotta contro il papa, alla emancipazione della monarchia dalla Chiesa.
Quindi in un certo senso Federico II preparò la strada per lo sviluppo del concetto moderno di Stato. In conclusione mi sembra di poter affermare che, considerate le innovazioni introdotte nella legislazione, nell'amministrazione statale, nell'economia, nella crociata e nel rapporto con la Chiesa, Federico II fu piuttosto un innovatore e non un "conservatore incallito". Certamente anche egli era un prodotto del suo tempo. E c'erano anche realtà come quella dell'Italia comunale che a lui rimasero incomprensibili. Comunque sia, la lotta tra Federico II e la Chiesa aveva scosso il mondo medievale, aveva una volta per sempre sconvolto i rapporti tra Stato e Chiesa. Quindi Federico II era stato un "mutator mundi", in questo senso limitato. Se poi il mondo era cambiato in meglio, questo è un altro discorso.
Copyright © Hubert Houben
Questo articolo è stato già pubblicato sul "Corriere del Giorno" del 30/12/1994, anno delle celebrazioni degli ottocento anni dalla nascita di Federico II.
Hubert Houben è nato il 4 febbraio del 1953 a Heinsberg (Germania) vive a Lecce dal 1980.
È professore Ordinario di Storia Medievale presso l'Università di Lecce. È membro della Commissione Internazionale per le ricerche sull'Ordine Teutonico e della Commission Internationale pour l'histoire de ville, nonché direttore del Centro di studi sull'Ordine Teutonico nel Mediterraneo (Torre Alemanna, Cerignola). È autore, fra l'altro, di "Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani", Napoli (Liguori Ed.) 1996, e di "Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente, Roma-Bari (Ed. Laterza) 1999 (trad. inglese: Cambridge 2002).