Salimbene de Adam

Salimbene de Adam
Salimbene de Adam da Parma
 
 
Occorre preliminarmente precisare che la fonte per la biografia di Salimbene de Adam ci è fornita dalla sua stessa Cronica, dove l'autore ci parla minuziosamente della propria vita trascorsa in varie parti dell'Italia settentrionale e in Francia, dandoci altresì notizia delle opere che egli aveva composto prima di iniziare quella giunta fino a noi, opere delle quali purtroppo nessuna pare essersi salvata. Ed il rammarico vale soprattutto per i cosiddetti "XII scelera Friderici imperatoris". 
 
Il noto cronista medievale nacque a Parma il 9 ottobre del 1221 da Guido de Adam e da Inmelda, figlia di Gherardo de Cassio; dopo una intensa vita egli morì nel 1287, almeno così è stato tramandato, a Reggio Emilia presso il convento di Montefalcone. Discendente da una rispettabile famiglia, entrò nell'ordine dei Francescani nel 1238, contro la volontà del padre Guido, che ricorse anche al ministro generale, frate Elia, e all'Imperatore Federico II per distorglierlo dai propri propositi ascetici.
 
Per qualche tempo condusse una vita travagliata ed errabonda, in aperta lotta con il padre che cercava di dissuaderlo anche con la violenza. Successivamente fu per lungo tempo nei conventi di Firenze, Parma, Ravenna, Reggio e Montefalcone. Fu accreditato presso papa Innocenzo IV e presso la corte dell'imperatore Federico II.
 
Dopo la Pasqua del 1239, ricevuta l'obbedienza dal ministro generale dell’ordine, si recò a Lucca. Passando per  Città di Castello si imbatté nell'ultimo frate accolto nell'Ordine da San Francesco, il quale, sentendolo chiamarsi Ognibene, ne rimase stupito: credendola un'audacia  rispetto alla grandezza di Dio lo consigliò di mutare il nome in quello simbolico di Salimbene. Molto probabilmente è a Pisa che il cronista incontrò per la prima volta l'imperatore Federico II, figura che, nel bene e nel male, tanta influenza eserciterà su di lui.
 
Nel 1247, giunto a Parma, assistette quasi quotidianamente alle lotte e alle battaglie che avvenivano tra l’esercito imperiale e quello parmense.
 
Fra il settembre e l'ottobre del 1247, essendo ancora Parma assediata dalle forze imperiali accampate a Vittoria, Salimbene venne mandato in Francia a studiare e, nel partire, quasi certamente gli fu affidata qualche lettera o comunicazione dei capi del partito guelfo per la corte pontificia di stanza allora a Lione, dove Salimbene arrivò nel novembre dello stesso anno al termine di un viaggio, a piedi, lungo e faticoso. Venne ricevuto da Innocenzo IV con una accoglienza cordiale e lusinghiera, anche per i rapporti di amicizia familiare datanti da tempo.
Ad Aréas, l'odierna Hyères, conobbe fra Ugo da Digne, il più noto gioachimita del tempo. L'incontro fu basilare per lo sviluppo interiore di Salimbene che, sebbene già edotto nella dottrina dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore, dovette aderire completamente alle tesi che eserciteranno sempre profondo influsso sulle azioni e sulla vita del frate parmense anche quando egli dichiarerà di non esserne più influenzato.
 
Tornato a Genova, apprese della cattura di re Enzo, notizia che lo rattristò al punto da fornirgli  lo spunto per un elogio del prigioniero.
 
A Parma, ov'era nel frattempo rientrato, lo raggiunse il ministro generale dell'ordine che gli fissò sede stabile Ferrara. Salimbene vi risiedette sette anni, con ogni probabilità non entusiasta della destinazione, lui abituato ad una vita raminga che gli consentiva sempre nuove conoscenze con grande soddisfazione della sua immensa curiosità.
 
Scorrendo la Cronica si desume il mutamento di stile di vita: Salimbene parla della seconda metà della sua esistenza con molto meno dettagli di quanto abbia descritto i suoi casi fino al 1249. E ciò assume oggi ancora più significato, dal momento che egli scrisse l'opera dopo il 1283.
 
Della Cronica che Salimbene de Adam scrisse ci è pervenute una copia parzialmente mutila, scritta in latino che spesso si cambia in volgare, pittoresco ed efficace, ricchissima di fatti e certamente una delle fonti storiche più interessanti per il secolo XIII, a coprire in particolare il periodo intercorrente dal 1167 al 1287. Pur non essendo un racconto ordinato, quanto piuttosto una libera narrazione, spiccano in essa il senso concreto delle cose, la sete di autentica giustizia, l'orrore per le iniquità e le violenze della società medievale, la calda ammirazione per i personaggi nei quali Salimbene vedeva meglio concretarsi i suoi ideali di uomo e di cristiano.
 
Riprendendo in particolare i XII scelera Friderici imperatoris, si può, a ragione, affermare che questo scritto, per l'esposizione delle azioni di Federico, ebbe un carattere fortemente polemico e servì come opuscolo di propaganda antimperiale, ipotesi confermata dalle dichiarazioni stesse del cronista il quale afferma di aver messo in risalto soprattutto le pravitates del grande imperatore. L'opera, una delle prime, vide molto probabilmente la luce subito dopo la sconfitta di Vittoria nel 1248 e dovette servire come materiale di propaganda per spingere gli animi contro l'imperatore e i suoi seguaci, risentendo necessariamente degli odi che  la lunga guerra aveva innescato.
 
Quando invece scrive la Cronica a noi rimasta, Salimbene dimostra un animo più sereno, dando pure un giudizio diverso, pur non liberandosi completamente dall'influsso che esercitarono in lui le opinioni della corrente guelfa.
 
Diverse volte il frate ricorda che la sua città, Parma,  con la sua ribellione a Federico II, fu una delle cause principali della rovina dell'imperatore: sextum eius infortunium fuit quando Parma rebellavit sibi et totaliter adhesit ecclesie,que fuit causa totius ruine ipsius.
 
A foschi colori, e non poteva essere diversamente, viene dipinta a personalità dell'imperatore, il difetto più grave  del quale, a suo dire, è quello di essere avarus, una cupidigia che è sempre il movente di ogni sua azione.
 
Salimbene afferma che lo Svevo combatté la Chiesa solo perché voleva impadronirsi dei beni ecclesiastici: et hoc non intendebat facere zelo divino, sed quia non erat bene catholicus; et quia multum erat avarus et cupidus,volebat  habere divitias et thesauros ecclesie sibi et filiis suis; et quia volebat potentiam eorum deprimere, ne contra eum aliquid attemptarent). Anche quando vuole spiegare perché Federico II non riuse ad avere amici pensa di nuovo all'avarizia: quod numquam nutrierat aliquem porcum, cuius non habuisset axungiam.
 
Ma l'amore di verità non fa dimenticare a Salimbene che parimenti Federico II valens homo fuit interdum, quando voluit bonitates et curialitates suas ostendere,solatiosus,iocundus, delitiosus, quel Federico II che scribere et cantare sciebat et cantilenas et cantiones invenire”.
 
Vengono raccontati molti episodi della vita di Federico II, quantunque quasi mai suffragati da prove concrete. Alcuni esempi. Volendo l'imperatore verificare quale fosse la lingua originaria, Federico II prese un gruppetto di bimbi, li isolò da tutti e li fece allevare da nutrici che, pur accudendoli nel migliore dei modi avevano l'ordine di non parlare loro; i bimbi morirono. Volle avere notizie del fondo marino presso il Faro. Uccise due uomini per sapere chi meglio avesse digerito, l'uno che, subito dopo il pranzo, aveva dormito o l'altro che invece se ne era andato a caccia.
 
Mentre noi oggi, da questi e tanti altri interessi, possiamo a ragione osservare quanto grande fosse l’amore di Federico per le scienze e quanto fosse vir inquisitor et sapientiae amator, Salimbene invece definisce queste ricerche come superstitiones, Salimbene, a suo tempo, risentendo dell’influsso della Chiesa, restava molto diffidente verso ogni forma di nuova scienza o scoperta.
 
Pertanto Salimbene, pur attratto dalla personalità più emblematica del XIII secolo, non riuscì a dipingere la figura dell'imperatore in modo unitario: mai un tentativo di penetrazione psicologica, solo episodi avulsi da contesti reali, solo voci raccolte che palesano una grossa indecisione del cronista allorquando si doveva tracciare un giudizio conclusivo.
 
Soltanto un cenno ai figli dell’imperatore Federico II; più ampia la descrizione di Carlo D’Angiò e del duello ingaggiato da lui con Pietro D’Aragona. Degne di menzione le pagine riservate al re francese Luigi il Santo.
 
Nella Cronica Salimbene si scaglia violentemente contro i francesi e il loro dominio, reagendo al disprezzo che essi mostrano nei riguardi degli altri popoli, in particolare i Britanni e i Lombardi: et inter Lombardos includunt omnes Italicos et cismontanos), mentre sono proprio loro che devono essere disprezzati. Millantatori terribili sono difatti quando hanno bevuto: totum mundum uno ictus se credunt posse devincere et involgere. E ancora: igitur Gallicorum dominium superbissimum sempre fuit.
 
Dei Veneti dice: avari, tenaces et superstiziosi. E poi: …et dicunt,quod ex voluntate divina processit, quod navis illa declinavit ad eos; cui contrariandum non est.
 
La prima edizione moderna della Cronica venna fatta all'interno dei Monumenta Historica ad provincias Parmensem et Placentinensem pertinentia, III (Parma 1857): la parte pubblicata copriva gli anni dal 1212 al 1287. La prima parte, a coprire gli anni dal 1167 al 1212 venne curata da L. Cledat nel lavoro il frate Salimbene e l'autorità della sua cronaca" (Parigi 1878). Una elegante e completa versione viene redatta da Golden-Egger in Mon. Germ. Hist.: Scriptores", XXXII (Hannover 1906). Da annotare anche, per quanto povere ed incomplete, la versione italiana di Cantarelli e quella inglese di Coulton dal titolo From Francis to Dante" (London 1906).
 
Bibliografia:
 
Nino Scivoletto, "fra Salimbene da Parma e la storia politica e religiosa del secolo decimoterzo”,  ed. G. Laterza; Bari 1950.
V. Dronetti (a cura di) "Salimbene da Parma - Storia di Santi, di Profeti e di ciarlatani" Milano, Xenia, 1989.
Carlo Fornari, Frati, Antipapi ed Eretici Parmensi, protagonisti delle lotte religiose medievali, Silva Editore, Parma, ottobre 1994. 
Carlo Fornari, Federico II – Un sogno imperiale svanito a Vittoria, Silva Editore, 1998.
Autori vari, Enciclopedia Rizzoli – Larousse.
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