L’organizzazione militare
L’organizzazione militare
Per descrivere la struttura dell’insieme del variegato e potente esercito di cui disponeva Federico II, ho adoperato nei miei scritti passati una felice immagine del grande studioso di storia militare del Medioevo John France, riferita in generale agli eserciti medievali, vale a dire quella di una “struttura a cipolla”. Secondo tale schema, proprio come accade con i vari strati del bulbo commestibile, attorno a un nucleo centrale, si raccoglievano per successive stratificazioni - in base alle esigenze e alle disponibilità del momento - vari gruppi d'armati di diversa provenienza etnica e sociale. Il nocciolo di tale struttura era rappresentato dalla figura dello stesso Federico, il quale - nella sua molteplice veste di imperatore, signore di Svevia, re di Germania e re di Sicilia - era capace di esercitare sia il diritto di mobilitazione sui suoi sudditi delle tre realtà politiche sia la facoltà di comando supremo nelle operazioni di guerra.
Il primo strato di tale struttura era costituito dai familiares regis: al tempo stesso una sorta di guardia personale, e uno 'stato maggiore' formato dagli esponenti più capaci e fidati della nobiltà filosveva. Subito dopo, il posto era occupato certamente dai cavalieri tedeschi, che costituivano il nerbo degli eserciti imperiali, soprattutto per quanto concerne la combattività, il grado d'addestramento e l'armamento. La maggioranza di loro non proveniva dalle fila della grande nobiltà germanica. Si trattava in maggior parte di appartenenti alla classe del ceto medio, o dei ritterlich lebende, i cosiddetti more milites viventes: ministeriali mancati, ministeriali di conti o di feudatari ecclesiastici, milites senza feudi, alloderi, ecc. provenienti dalle regioni della Svevia e dell'Alsazia, diretti possedimenti della casa degli Hohenstaufen, quindi sudditi naturali dello Svevo, non in quanto imperatore, ma in quanto possessor di quei territori.
Altro gruppo importante negli eserciti federiciani era sicuramente quello costituito dai saraceni siciliani. Il loro impiego militare non comincia e non finisce con Federico II: già i normanni li avevano largamente usati nei propri eserciti, così come faranno in seguito gli Angioini. La novità di Federico fu di certo quella della fondazione di Lucera quale riserva etnica dalla quale trarre, in cambio della libertà di culto e di altre concessioni, l'apporto di una forza combattente che ricoprì un ruolo importante nelle sue guerre. La loro presenza nell'esercito di Federico fu massiccia in tutte le sue campagne, così come nei presidi dei castelli, sia nel Regno che fuori, oltre a costituire una sorta di sua guardia personale. Di loro abbiamo già parlato in una recente intervista di Alessandro De Troia apparsa su questo sito.
Schermaglie tra cavalieri. Bibbia di Manfredi, seconda metà del XIII secolo
Proseguendo nell'esame della stratificazione dell'esercito, si ritrova il contributo senz'altro importante fornito dalle truppe dei Comuni ghibellini a lui fedeli, nel corso delle campagne condotte nel Nord Italia: in particolare, Pavia e Cremona. Tali truppe erano costituite prevalentemente da fanti, pur non mancando il contributo di cavalieri; esse costituivano una massa di manovra degli eserciti imperiali e venivano impegnate, secondo le occasioni, sia da sole sia integrate con altre componenti. Oltre che dai Comuni fedeli, un apporto notevole proveniva dalle fila dei fuorusciti ghibellini esiliati dalle proprie città in mano al partito avversario: i cosiddetti milites forestati. Le fonti registrano molti casi di questi cavalieri accolti dall'imperatore e ricompensati della propria fedeltà con feudi e denaro. I contingenti delle città erano ai diretti ordini dell'imperatore, o dei suoi vicari, che disponevano in pieno del loro uso tattico e determinavano i tempi e i modi del loro impiego sul campo.
Il quadro cosmopolita finora tracciato non deve tuttavia distogliere l'attenzione da quello che fu sicuramente il contributo maggiore alla 'cipolla' imperiale, vale a dire quello degli uomini del Regnum Siciliae. Esso si sviluppava a diversi livelli sia nella difesa del territorio (castelli, difesa delle coste) sia nella conduzione delle campagne offensive fuori del Regno (esercito di campagna, flotta), e veniva devoluto in uomini (milites, servientes, marinai), in denaro (collette, adohamentum) e in mezzi (armi, cavalli, navi, equipaggiamenti, viveri). Il primo cardine sul quale si fondava il reclutamento delle truppe del Regno era la leva feudale. Numerosi esempi dimostrano non solo che; l'istituto del servitium militum era pienamente operante in epoca federiciana, ma anche che esso veniva, svolto di persona dai feudatari. Come in epoca normanna, i detentori di feudi erano tenuti a prestare il servizio militare per una durata che andava, secondo; i casi, da quaranta giorni a tre mesi. L'unità di misura per il rapporto tra servizio e feudo era costituita dal feudum integrum o feudum unius militis, che prevedeva, cioè, la prestazione del servizio di un miles e in alcuni casi anche di un balestriere per ogni 'feudo integro'.
Il servitium debitum dei feudatari, in realtà, solo in casi piuttosto eccezionali si svolgeva attraverso la partecipazione alle spedizioni fuori confine, più spesso si concretizzava con l'apporto di milites e servientes per la difesa dei castelli demaniali del Regno, soprattutto quelli di confine e di costa. Tale sistema difensivo su base territoriale era stato articolato da Federico partendo dalla nuova impostazione già conferitagli da Tancredi di Lecce. I feudatari dovevano garantire - pena la confisca dei propri beni - la custodia, la manutenzione, il rifornimento e l'armamento dei castelli demaniali.
Il termine servientes (da cui il moderno “sergenti”) si presta a diverse interpretazioni e poteva identificare sia cavalieri armati alla leggera sia semplici fanti. Nelle fonti federiciane, quasi sempre il termine era applicato alle forze destinate alla difesa dei castelli, nel qual caso non compare il termine pedites, che veniva di solito riferito alla fanteria impiegata nelle operazioni campali. Per procurarsi il proprio equipaggiamento, per quanto leggero ed economico fosse, i servientes dovevano disporre di qualche forma di rendita, da qui l'ipotesi che fossero dei piccoli proprietari. Probabilmente i servientes non erano obbligati, come i milites, al servizio, ma potevano liberamente scegliere, in base all'offerta di moneta, se partecipare o meno.
Il servizio militare dovuto dai feudatari era dunque obbligatorio, ma a partire da questo periodo, e sempre più in epoca angioina, si riscontrano tracce di un meccanismo sostitutivo, l'adohamentum, simile allo scutagium inglese, attraverso il quale si consentiva al feudatario, in determinate circostanze, di sostituire il servitium personarum con quello pecuniarum. Con i fondi derivanti dal pagamento dell'adoha e delle collette si otteneva una notevole disponibilità liquida per pagare, direttamente o indirettamente, gli uomini che dovevano sostituire coloro che non potevano prestare il servizio. Il fenomeno creava una forte domanda di uomini in armi - in particolare di milites, la parte migliore dei combattenti dell'epoca - alla quale rispondeva una conseguente offerta di braccia. Tale offerta si concretizzava essenzialmente in due diverse categorie di uomini: da una parte gli stessi milites infeudati, che prestavano a pagamento la loro opera per un periodo eccedente il servizio legalmente dovuto, dall'altra i cosiddetti milites stipendiarii, vale a dire quella massa di milites senza feudi e senza averi che militava esclusivamente in cambio del denaro. Nel primo caso, va ricordato che i milites infeudati venivano ricompensati col denaro quando prestavano la loro opera oltre il servizio legalmente dovuto (quaranta o novanta giorni), cosa che avveniva normalmente quando l'esercito era impegnato in campagne oltre i confini del Regno. Nel secondo caso, va precisato che anche in epoca federiciana, per i milites rimane valida la distinzione del periodo normanno: stando all'assise De nova militia, infatti, nel Regno esistevano due categorie di cavalieri, quelli nomine militia e quelli professione militia. Alla prima appartenevano coloro che prestavano il servitium in cambio del beneficio ricevuto, alla seconda coloro che erano milites solo per status. Questi ultimi non esercitavano la militia traendo il sostentamento dal possesso della terra, ma venivano stipendiati dai signori che servivano.
Ricostruzione di un miles regnicolo, nella fattispecie Galvano Lancia, ad opera di Michele Giardino dell’associazione Cives Regni Siciliae di Lucera (FG)
Dunque, tutte le componenti dell'esercito imperiale erano vincolate da un legame sovrano-sudditi, legame che era regolato da una parte dalle consuetudini feudali, dall'altra attraverso la retribuzione più o meno monetaria del servizio: ciò, tuttavia, non implicava assolutamente un rapporto di mercenariato. In questo caso non v'era la condizione principale affinché tale tipo di rapporto si realizzasse, vale a dire di libera offerta, come accadrà più tardi, nei XIV sec. con le compagnie di ventura o condotte, quando tra queste e i ‘datori di lavoro’ si stabilirà un vero e proprio rapporto di libero mercato regolato dalla domanda e dall'offerta.
I milites del Regno, infatti, non potevano scegliere certo di servire un altro signore che non fosse il re di Sicilia e qualsiasi gesto in tal senso era considerato tradimento. Inoltre, non potevano rifiutarsi di rispondere alla chiamata alle armi -tranne nei casi particolari per i quali si pagava l'adoha - e anche quando essi venivano pagati, non potevano contrattare l'ammontare delle paghe.
La paga mensile media di un cavaliere era di circa 3 once che potevano arrivare fino a 5, secondo l'equipaggiamento (cavalli corazzati) e il seguito. La paga mensile di un serviente oscillava tra i 3 e i 6 tari, in alcuni casi si arrivava ad un quarto d'oncia (10 tari); a queste somme si aggiungeva il vitto. Gli stessi saraceni ricevevano compensi monetari, forse in occasione di spedizioni prolungate. In generale la differenza di paga tra servientes e milites era di uno a quindici. Le paghe corrisposte ai cavalieri, siano essi feudatari o semplici stipendiarti, così come quelle dei servientes, fanti e altri, rispondevano a criteri di 'mercato' che erano più o meno uguali per tutta l'Europa del tempo.
D'altra parte, il contributo dato dalle comunità cittadine del Regno doveva avere il suo peso anche se purtroppo esso è scarsamente documentato. Di certo gran parte dei servientes, dei pedites, nonché degli addetti alle macchine e ai lavori ossidionali, doveva provenire dalla popolazione delle città e del contado: i marinai della flotta regia, in particolare, erano forniti dalle città di mare. In realtà, le città e il contado meridionale non erano in grado di addestrare e armare reparti di fanteria autonomi, salvo la presenza dei vari armigeri e scutiferi, che seguivano i cavalieri in battaglia. Tutto ciò derivava dal fatto che sul piano militare, così come a livello sociale, politico e amministrativo, esse non erano in grado di esprimere una sostanziale autonomia, imbrigliate dalla pesante tutela dello stato burocratico-amministrativo del Regno normanno-svevo.
Per saperne di più: Giovanni Amatuccio, Mirabiliter pugnaverunt: L'esercito del Regno di Sicilia al tempo di Federico II