L'EREDITA' NORMANNA

L'EREDITA' NORMANNA
 
Agli inizi dell’anno Mille l’Italia meridionale era divisa in numerosi stati e staterelli, in perenne lotta tra loro. C’era una Italia longobarda, costituita dai tre principati di Benevento, Capua e Salerno, eredi del vecchio Ducato e poi Principato di Benevento; un’Italia Bizantina, costituita dai quattro piccoli Ducati marinai di Napoli, Amalfi, Sorrento e Gaeta e dal grande Catapanato d’Italia, che comprendeva la Puglia, la Lucania e la Calabria; e un’Italia Saracena, che teneva l’intera Sicilia, ma a sua volta divisa nei quattro Emirati di Palermo, Catania, Siracusa e Castogiovanni (Enna).
 
Arazzo di Bayeux: l’imbarco dei cavalieri normanni.
 
I primi Normanni arrivarono in Italia intorno al Mille, chiamati dal principe Guaimaro III di Salerno, in cerca di milizie mercenarie. Guaimaro li aveva visti all'opera l'anno precedente quando, di ritorno dalla Terra Santa, erano sbarcati a Salerno proprio nel bel mezzo di un assedio saraceno. Forse anche per difendere le loro vite, oltre che per implorazione del principe, decisero di dare una mano ai Salernitani per liberarli dal nemico. Erano alcune decine di cavalieri, armati alla pesante, che caricarono i malcapitati Saraceni come un tornado. Fu un successo strepitoso.
L'uso della cavalleria pesante, lanciata lancia in resta, come truppe corazzate, contro la fanteria nemica, costituiva una vera novità tattica e determinò il grande successo dei Normanni. D'ora in poi essi saranno richiesti da tutti i signorotti, laici ed ecclesiastici, che allora si dividevano l'Italia meridionale (principi di Salerno, di Capua e di Benevento, le abbazie di Montecassino e di San Vincenzo al Volturno, eccetera), ma anche dal basilio di Costantinopoli e da altri potentati europei.
Guaimaro, dopo averli abbondantemente ricompensati, li invitò a stabilirsi nel suo principato come mercenari profumatamente pagati: ed essi accettarono.
Qualche anno dopo, nel 1009, un ricco e aristocratico cittadino barese, Melo, un longobardo con probabili ascendenze saracene (Bari, nel IX secolo, era stato un Emirato arabo, ufficialmente riconosciuto dal califfo di Bagdad, e le fonti tedesche chiamano Mele: Ismaele), probabilmente imparentato da parte di madre con l'imperatore Enrico II, si ribellava con successo ai Bizantini, allora padroni del Catapanato d'Italia, che comprendeva i temi di Longobardia Minor (ovvero, la Puglia), Lucania e Calabria, e che aveva proprio Bari come capitale. Ma due anni dopo i Bizantini, guidati dal nuovo catapano Basilio Mesardonite, sconfissero Melo e il suo cognato Datto, costringendoli a riparare nei territori campani, in mano ai dinasti longobardi.
Melo, però, meditava la rivincita e, con l'aiuto del papa, Benedetto VIII, incominciò ad assoldare nuovi mercenari normanni, arrivati direttamente dalla Normandia, dove i cadetti delle buone famiglie scalpitavano in cerca di ricchezze e gloria da conquistare con la forza delle armi.
Grazie anche all'aiuto dei principi di Salerno, Capua e Benevento, Melo, che nel 1014 aveva ricevuto, da Enrico II,  l'investitura a duca di Puglia e il compito di strapparla ai Bizantini, riuscì a metter su un grande esercito, composto in massima parte da Longobardi, ma con un forte contingente di un migliaio di cavalieri e qualche migliaio di fanti normanni. Con questa grande forza, nel 1017 Melo invase il Catapanato, attaccando i confine del Fortore. Dopo essere stato respinto nella battaglia dell'Arenula, presso Ripalta, Melo riuscì a sfondare le linee nemiche, guadando il Fortore presso l'antica e spopolata Teanum Apulum, invadendo così l'intera Capitanata. Per circa un anno Melo ebbe partita vinta. Ma i Bizantini si riorganizzarono e inviarono un nuovo catapano, Basilio Bojoannes, il più grande dei catapani italiani. Anche Melo si riorganizzava, ingaggiando un numero sempre crescente di cavalieri normanni, che assomarono a circa tremila.
Ma il Bojoannes, il 1° ottobre 1018, a Canne, sull'Ofanto, sconfisse Melo e i suoi Normanni. Melo, ferito, riparava prima a Roma, presso Benedetto VIII, e poi, nel 1020, a Bamberga, in Germania, presso Enrico II, al quale chiese aiuto. Ma morì proprio in quei giorni, presso l'imperatore e fu seppellito nella cappella imperiale di Bamberga. I Normanni sopravvissuti, circa cinquecento, che avevano intrapreso quell’impresa con l'illusione di una facile conquista, che il duca di Puglia avrebbe largamente ricompensata con la concessione di titoli e terre, furono costretti a trovare nuovi padroni tra i dinasti longobardi o tra le grandi abbazie dell'Italia meridionale.
Decisamente la loro storia nel Mezzogiorno italiano incominciava male. Ma non erano tipi da abbattersi tanto facilmente.
Un gruppo di loro, agli ordini di Rainulfo Drengot, vendendosi al miglior offerente, nel 1030 riuscì ad ottenere dal duca di Napoli, Sergio IV, la mano della sorella e la contea di Aversa, al confine con il Principato di Capua, acerrimo nemico del Ducato di Napoli. Chiaramente l'intento del duca di Napoli era quello di costituire un bastione difensivo per i suoi territori, minacciato in continuazione dal principe di Capua, Pandolfo III, il Lupo degli Abruzzi, che allora dominava l'Italia meridionale. Ma la cosa non durò a lungo. Infatti, poco dopo moriva la sorella di Sergio IV e Rainulfo, rimasto vedovo, si vedeva offrire la mano della nipote del principe di Capua, in cambio del passaggio al suo servizio. Rainulfo, come al solito, non si fece troppo scrupoli ed accettò, lasciando disperato e sconfitto il duca di Napoli. Infatti Pandolfo si impadronì di Napoli e del suo Ducato, mentre Sergio finiva i suoi giorni ritirandosi in un monastero.
La costituzione della contea normanna di Aversa fu il primo acquisto territoriale compiuto dai Normanni nell'Italia meridionale e fu determinante per la stabilizzazione dei fin allora girovaghi Normanni. Infatti Aversa, oltre a risultare un centro di concentrazione dei vari Normanni dispersi nel Mezzogiorno, costretti ad una vita di brigantaggio per la sopravvivenza, divenne anche il centro di riferimento per i nuovi arrivati dalla Normandia, anche loro giovani di belle speranze, in cerca di gloria e di denaro. Tra questi troviamo i vari fratelli Altavilla, giunti in periodi differenti. I primi due, Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone, arrivati probabilmente nel 1016 (al tempo di Melo di Bari), erano destinati a giocare un ruolo fondamentale nella conquista normanna.
 
Poco dopo la costituzione della contea di Aversa, nel 1038, Costantinopoli decise di riconquistare finalmente la Sicilia, fino a quel momento in mano ai saraceni. La grande spedizione fu affidata ad un valente generale bizantino, Maniace, che disponeva anche di numerose truppe ausiliare, tra cui i temibili vareghi (di origine vichinga), comandante dal grande eroe Harald Haardraade, cantato nelle saghe vichinghe, e truppe longobarde e normanne messogli a disposizione dal principe di Salerno, alleato dei Bizantini e nuovo dominatore dell’Italia meridionale. Mentre il contingente longobardo, il più numeroso, era comandato da Arduino, un longobardo della Lombardia passato al servizio del principe di Salerno, il contingente normanno, forte di circa trecento cavalieri e diverse centinaia di fanti, era comandato da Guglielmo Braccio di Ferro. Però, dopo i successi iniziali e la conquista di Messina, avvenne un grosso litigio tra il duro Maniace e i Normanni, circa la spartizione del bottino. Così i essi abbandonarono la spedizione e ritornarono ad Aversa. Intanto la guerra siciliana proseguiva. Ma la guerra, che ormai durava da due anni, era molto costosa e dispendiosa, e richiedeva un grosso afflusso di denaro e di nuovi uomini per le truppe. I Bizantini sopperivano con l'imposizione di nuove tasse e l'arruolamento di truppe tra gli indigeni del Catapanato d'Italia, inquadrati come conterrati. Questo però esasperava le popolazioni longobarde che, nel 1040, tentarono un'ennesima ribellione antibizantina, uccidendo diversi magistrati e lo stesso catapano, Niceforo Dukeianos. Costantinopoli reagì inviando truppe dalla Sicilia, agli ordini del nuovo catapano, Michele Dukeianos (fratello del catapano ucciso), il quale recava con sé il longobardo Arduino, che si era ben distinto nella guerra siciliana. Facendo troppo affidamento sulla lealtà di Arduino, il Dukeianos gli affidava la fondamentale piazzaforte di Melfi, "porta d'ingresso della Puglia", come dice un cronista dell'epoca. Ma Arduino, valutato che la Puglia era quasi completamente sguarnita di truppe (impegnate com'erano nella spedizione siciliana), e che la rivolta dei conterrati impegnave le poche che c'erano, decise di cambiare campo e giocare in proprio. Così si recò ad Aversa per chiedere l'aiuto di Rainulfo, per impossessarsi di tutta la Longobardia minor (la Puglia), "terra dove scorre latte e miele". Arduino spiegò che la situazione era assai favorevole e che le terre del Catapanato sarebbero cadute con poco sforzo. Allettati da queste proposte di facile conquiste, i Normanni accettarono di seguire Arduino nella sua avventura. Era il mese di marzo del 1041, l'inizio della conquista normanna dell'Italia meridionale. Ma le cose dovevano andare per le lunghe.
I Normanni di Aversa elessero dodici capi, ai quali Rainulfo affidò trecento cavalieri e circa un migliaio di fanti (ogni cavaliere di norma era seguito da almeno tre fanti), una forza non male per i tempi. Della spedizione non faceva parte Rainulfo che, essendo al servizio di Guaimaro di Salerno, alleato dei Greci, non voleva compromettersi direttamente, accontentandosi di patrocinare l'impresa.
Arduino e i suoi Normanni arrivarono, volutamente, di notte a Melfi, per non allarmare la popolazione, fino ad allora filobizantina. Fattosi avanti con pochi uomini, Arduino ordinò che gli si aprissero le porti. Ma le guardie, allarmate dal trambusto delle truppe, si rifiutarono di eseguire gli ordini e, anzi, dettero l'allarme. Seguì una violenta discussione, con Arduino che implorava gli abitanti di Melfi di far entrare i Normanni suoi amici e liberarsi dal giogo bizantino. Dopo alcuni momenti di forte tensione, accompagnati da espresse minacce di prendere la città con la forza, i Melfitani si decisero ad accogliere Arduino e i suoi Normanni. La conquista era incominciata nel migliore dei modi.
Immediatamente nei giorni successivi i Normanni occuparono le terre dei dintorni e le città di Lavello, Ascoli e Venosa.
Il Dukeianos, messo al corrente degli avvenimenti, si precipitò, con le poche truppe che aveva a disposizione, a sedare la rivolta. Fu un grosso errore. Intercettato dai Normanni nella piana dell'Olivento, un affluente dell'Ofanto, fu duramente sconfitto in battaglia. Era il 17 marzo.
Il duro colpo impresso ai Bizantini imbaldanzì i Normanni, che raccolsero un ricco bottino, e spinsero molte altre popolazioni longobarde della Daunia a ribellarsi e ad accorrere a Melfi, diventata il centro della rivolta. Tra questi anche Atenolfo, fratello del principe di Benevento, che assunse il comando dell'insurrezione. Ma con l’allargamento dell’insurrezione e il conseguente passaggio del comando al principe di Benevento, i Normanni si vedevano sfuggire dalle mani il loro programma di conquista del Catapanato, ora nelle mire dei Beneventani, dovendosi accontentare dell’abituale ruolo di mercenari al servizio di un potentato longobardo.
Il Dukeianos, scampato alla morte con pochi dei suoi, riuscì a riparare a Bari, dove attese l’arrivo di truppe di rinforzo, per attaccare di nuovo i Normanni, presso Montemaggiore, una collina sulla riva sinistra dell’Ofanto. Era il 4 maggio. Ma ancora una volta i rivoltosi uscirono vincitori, mentre il catapano riusciva di nuovo a riparare a Bari. Ancora di più l'eco del nuovo successo dei rivoltosi si sparse nelle contrade della Daunia, attirando molti altri longobardi a Melfi, attratti dal ricco bottino conquistato e dalle promesse di nuovi facili guadagni. Ma anche la questione nazionale, la liberazione dal giogo bizantino, giocava la sua parte nell'attrarre molti longobardi dalla parte dei rivoltosi. Anche il principe di Benevento, tramite il fratello, sperava di allargare i confini dei suoi territori e inviava truppe di rinforzo.
Intanto la notizia della doppia sconfitta giungeva a Costantinopoli che, immediatamente richiamò il Dukeianos e inviava in Puglia un nuovo catapano, Augusto Bojoannes, figlio del grande Basilio, con la speranza che possa ripetere le gesta del padre. Così, il 3 settembre dello stesso anno, presso Montepeloso (l'attuale Irsina, Matera), avvenne la terza battaglia, più grande delle precedenti. Ma anche questa volta le cose non andarono diversamente e lo stesso catapano venne catturato dalle truppe di Atenolfo. Era il trionfo della rivolta.
Melfi, antica stampa.
Ma proprio sul più bello avvenne una grave rottura tra i Normanni e Atenolfo. Infatti, rientrati a Melfi, Atenolfo, visto il sopraggiungere dell'inverno, decise di ritornare a Benevento, per riprendere le operazioni nella prossima primavera, com'era uso a quei tempi. Ma commise l'errore di tenersi tutto per sé il riscatto chiesto per la liberazione del catapano prigioniero, lasciando inferociti i Normanni. Dal punto di vista di Atenolfo il suo comportamento era normale. Infatti i Normanni non erano altro che mercenari, ben pagati dal capo longobardo, che combatteva per espandere i confine del Principato di Benevento. Ma i Normanni, oltre al soldo, si aspettavano di dividere il ricco bottino di guerra, tra cui la lauta taglia per liberare il catapano prigioniero di guerra. Così, avvenne la rottura e, mentre Atenolfo se ne stava a Benevento, a godersi i fasti della vittoria, i Normanni passarono l'inverno in cerca di cosa fare. Una parte decise di tornare ad Aversa; una parte passò al servizio di Guaimaro principe di Salerno, il quale, visto il successo dell'insurrezione e la rottura col principe di Benevento, con un cambio di alleanza, tentava di intromettersi nella rivolta, capeggiandola in suo favore. Ma la maggior parte di loro decise di passare al servizio del barese Argiro, figlio di Melo, che tornato dalla prigionia di Costantinopoli, si era messo a capo della rivolta dei conterrati pugliesi, rivendicando l'eredità paterna. Così, nel febbraio del 1042 i Normanni di Melfi si recarono a Bari e nella chiesa di S. Apollinare, insieme ai baresi, elessero Argiro duca di Puglia, titolo che era stato già del padre.
Argiro portò i suoi e i Normanni a "liberare" diverse città nel Materano e nella Puglia meridionale. Nel giugno, risalendo la Puglia, assediarono Giovinazzo che, una volta presa, fu messa a ferro e fuoco dai Normanni, senza risparmiare la popolazione inerme, che venne barbaramente trucidata. L'episodio dovette allarmare Argiro, che vedeva la situazione sfuggirgli di mano. Infatti il massacro di Giovinazzo fu effettuato nonostante i suoi ordini contrari. Così, in gran segreto, egli avviava contatti con Costantinopoli, in cerca di un accordo. L'imperatore Costantino IX Monomaco, nell'agosto 1042, mentre Argiro e i suoi Normanni assediavano la ricca e ben difesa città di Trani, inviava al capo barese il titolo di patrizio e duca d'Italia (dell'Italia bizantina, cioè l'Italia meridionale), in cambio del suo passaggio al servizio dell'impero. Argiro accettò, abbandonando l'assedio di Trani e tornando a Bari, dove assunse il comando delle forze bizantine.
Ancora una volta i Normanni si trovarono soli, senza un capo e sbandati. Ma questa volta decisero di non mettersi più al servizio di qualche capo longobardo come semplici mercenari, ma di giocare in proprio, tenendosi per sé le future conquiste. Così, nel mese di settembre, poco dopo il tradimento di Argiro, tornati a Melfi, essi elessero Guglielmo d'Altavilla, detto Braccio di Ferro, conte dei Normanni di Puglia (per distinguerlo da Rainulfo, conte dei Normanni di Aversa, cioè della Campania). Da questo momento i destini dei due gruppi normanni si divisero. Per la prima volta i Normanni agivano per conto proprio, riprendendo il vecchio programma di conquista del Catapanato d'Italia scaturito nell’inverno del 1041 a Melfi.
Ma Guglielmo, oltre che un abile guerriero, era anche un abile politico e capì che da soli i Normanni non potevano farcela. Così si rivolse al principe di Salerno, Guiamaro V, che era sempre in cerca di alleati, specie se Normanni, per portare avanti la sua politica di espansione del suo dominio, destinato ad imporsi su quasi tutta l'Italia meridionale. Guglielmo propose che i Normanni avrebbero eletto il principe di Salerno duca d’Italia (cioè dell’Italia bizantina da conquistare), nel contempo egli doveva riconoscere a Guglielmo il titolo di conte di Puglia e ai Normanni le terre tolte ai Bizantini. Guaimaro accettò l'offerta di Guglielmo e, per meglio legarlo a sé, mise in atto la vecchia politica matrimoniale, offrendogli la mano della nipote.
Conclusa la salda alleanza, agli inizi del 1043, il principe di Salerno, Guglielmo d'Altavilla e Rainulfo d'Aversa si recarono a Melfi, dove Guaimaro investì, uno ad uno, i dodici capi normanni di Melfi, più Rainulfo, delle terre conquistate e da conquistare, a scapito del Catapanato d'Italia, conferendo a ciascuno di loro il titolo di conte. Melfi diventava la capitale della nuova Contea di Puglia. Partiva finalmente la vera conquista dell'Italia meridionale.
Subito dopo la spartizione di Melfi, Guaimaro e i suoi Normanni si portarono ad assediare Bari, la capitale del Catapanato, ma senza successo. Quindi si spostarono in Basilicata e nella Calabria settentrionale, che cadde nelle loro mani. Poi ognuno dei dodici capi si dedicò alla conquista di quanto concessogli a Melfi.
I Bizantini erano sulla difensiva e mostravano chiari segni di sofferenza e sconfitte. Molte città, per sfuggire alle depredazioni normanne, accettarono di versare loro tributi; altre venivano conquistate. Ma la conquista fu molto lunga e travagliata: se Lesina, la prima contea conquistata, cadde nel 1047, Civitate cadde nel 1053; Reggio  nel 1059; Vieste  nel 1065, Trani e Bari nel 1071, Siponto nel 1073. Fu durante questo periodo di conquista che la Daunia prese il nome di Capitanata, cioè Terra dei Catapani (con una trasposizione di consonante). Infatti, nei primi anni le conquiste si limitarono essenzialmente alla provincia di Foggia, fino ad allora terra dei catapani, e i Normanni, quando dovevano recarsi da quelle parti, dicevano di andare, appunto, nelle terre dei catapani. Così, col tempo, la Daunia prese il nome di Capitanata.
 
Ma la conquista normanna procedeva con rara ed efferata violenza, che non risparmiava neanche chiese e monasteri. La cosa fece infuriare molto papa Leone IX, tanto che, dopo aver scomunicato "quei maledetti Normanni", mise su una lega per scacciarli dall'Italia meridionale. Il papa si rivolse anche all'imperatore tedesco, Enrico III, recandosi personalmente i Germania, ottenendo però un contingente di soli cinquecento-settecento uomini. Ma della lega antinormanna facevano parte molti principi laici ed ecclesiastici dell'Italia centro-meridionale.
Con un grande ma variegato esercito, Leone IX, ai primi di giugno del 1053 si accampò a Civitate, presso il Fortore, con l'intenzione di invadere la Capitanata e prendere i Normanni alle spalle. Ma questi, allertati, si precipitarono presso il Fortore, per sbarrargli il passo. Dopo alcuni giorni di sterili trattative, all'alba del 18 giugno i Normanni, quando ancora le truppe papali dormivano, con un audace mossa, guadagnarono la collina che li divideva dai nemici e, come un immenso ciclone, caricarono l'incauto esercito del papa. Fu una carneficina: molti scapparono in cerca di scampo e molti morirono ammazzati dai Normanni o affogati nel Fortore nel tentativo di guadarlo. Solo i Tedeschi opposero una congrua difesa, ma furono annientati. La battaglia di Civitate segnò in modo indelebile la storia dell'Italia meridionale, consegnandola definitivamente ai Normanni. L'eco della vittoria normanna si espanse celermente in tutta l'Europa. Lo stesso Guglielmo il Conquistatore, nella decisiva battaglia di Hastghins, che doveva consegnare l’Inghilterra ai Normanni, per incitare le sue truppe gridava: "Ricordatevi di Civitate! Siate degni dei vostri fratelli italiani!".
papa Leone IX
Intanto nel 1057 Roberto Guiscardo, penultimo dei fratelli Altavilla, veniva eletto nuovo conte di Puglia. Egli, per l'eccezionale personalità, risultò il più grande dei condottieri normanni. Subito dopo la sua elezione si diede da fare per completare la conquista della Calabria e, nel 1059, con la presa di Reggio, già mirava alla Sicilia, ancora in mano saracena. Proprio nell'agosto del 1059, a Melfi, papa Nicolò II, intuendo che i Normanni più che nemici della Chiesa (come fino ad allora erano stati trattati) potevano essere il suo braccio armato difensivo contro le ingerenze degli imperatori tedeschi (com'era accaduto da Ottone il Grande in poi), con un cambio di strategia,  investiva il Guiscardo con il titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia, da strappare ai Musulmani, facendone così un fedele vassallo della Chiesa. Si trattava di una investitura rivoluzionaria. Infatti solo l'imperatore poteva disporre dei titoli di duca e di re. Questo precedente farà storia e segnerà pesantemente i secoli avvenire, specialmente per l'Italia meridionale, considerata da questo momento terra della Chiesa, che ne poteva disporre a piacimento, cosa che, due secoli dopo, segnerà la fine degli Hoenstaufen, eredi dei Normanni.
Il Guiscardo, dopo l'elevazione ducale, si apprestò a costruire un vero stato feudale, emanando leggi e disposizioni, assoggettando città e signori normanni. Per imporre il suo potere dovette affrontare diverse rivolte di quanti, avendo conquistati i propri domini con le armi, non ne volevano sapere di assoggettarsi al suo potere. Ma le doti eccezionali di condottiero e l'ampio dominio accumulato lo fecero uscire sempre vincitore.
Nei primi anni Sessanta, con l'aiuto del fratello Ruggero, ultimo degli Altavilla, Roberto Guiscardo iniziò l'annessione della Sicilia. Le prime città a cadere furono Messina e Troina; poi, nel gennaio del 1072 Palermo. Da questo momento la conquista siciliana sarà portata avanti dal solo Ruggero I (bisnonno materno di Federico II), investito del titolo di conte di Sicilia dal fratello. Solo nei primi anni Novanta dell’XI secolo  cadrà Enna (Castrogiovanni), ultima roccaforte musulmana.
Intanto nel 1071, dopo tre anni di assedio, il Guiscardo conquistava Bari, mettendo praticamente fine al dominio bizantino in Italia, anche se restava ancora qualche sacca di resistenza, come Trani e Siponto.
Moneta con l'effigie del Guiscardo
Nel 1076 Amalfi, per difendersi dalle mira di annessione del principe di Salerno, si consegnava al Guiscardo che, poco dopo, conquistava anche Salerno, con annesso principato. Ormai il suo dominio si estendeva a tutta l'Italia Meridionale, Sicilia compresa, ad esclusione di Napoli, che rimaneva autonoma, e Capua, in mano all’altro capo normanno, Roberto di Aversa, erede dell’antica  contea normanna.
Nel 1080 Roberto Guiscardo concepì il disegno di conquistare l'impero di Costantinopoli. Egli salpò da Otranto con un grande esercito e conquistò l'isola di Corfù e molti territori della costa dalmato-albanese.
Quindi assediò Durazzo, capitale del tema bizantino d'Illirio. Dopo aver sconfitto in una grande battaglia campale lo stesso imperatore Alessio I Comneno, nel gennaio 1082 conquisto la città. Ma, mentre si apprestava a marciare su Costantinopoli, fu richiamato in Italia da un'ennesima rivolta dei baroni pugliesi, fomentata ad arte dall'imperatore Alessio, e dalla richiesta di aiuto di papa Gregorio VII, assediato a Roma dall’imperatore tedesco Enrico IV, quello di Canossa.
Ritornato in Italia, il duca di Puglia, dopo aver sedato la rivolta, si recò, nel 1084, a Roma, in aiuto del papa. Dopo aver messo a ferro e fuoco la Città Eterna, che subiva la più grande devastazione della sua millenaria storia (Enrico IV aveva abbandonato prudentemente la città prima del suo arrivo), liberò Gregorio VII che, però, essendo additato dai Romani come responsabile di quello scempio, dovette abbandonare Roma insieme ai Normanni e riparare a Salerno, dove morirà l'anno successivo.
Intanto il Guiscardo, tornato a Salerno, ormai capitale di fatto del suo ducato, apprestava i preparativi per riprendere la spedizione in Oriente. Aveva circa settant’anni e uno spirito ancora combattivo ed indomito. Nell'autunno del 1084 salpò di nuovo verso la costa dalmata. Dopo aver svernato nel suo accampamento, riprese la conquista. Ma il 17 luglio del 1085, per ironia della sorte giorno di san Alessio (nome dell'imperatore di Costantinopoli), moriva in seguito ad una ennesima epidemia che aveva colpito le sue truppe. Con lui finì il sogno della conquista normanna dell'impero bizantino. Riportato in Puglia dal figlio e successore Ruggero Borsa, il Guiscardo fu sepolto nel monastero della SS. Trinità di Venosa, divenuta tomba ufficiale degli Altavilla, oggi ancora esistente.
Il nuovo duca Ruggero Borsa non aveva la stoffa del padre, anche se, con l'aiuto dello zio Ruggero I di Sicilia, era riuscito ad estendere il suo dominio anche sul nuovo principe di Capua, Riccardo II, che gli si era assoggettato. Ancor meno stoffa del padre aveva il figlio Guglielmo, che dal 1111 aveva ereditato il ducato. Durante il loro regno tutto il ducato cadde sempre più in uno stato di anarchia feudale, con continue ribellioni, guerre intestine, appropriazioni indebite delle terre e dei diritti ducali. Ma le cose cambiarono bruscamente quando al ducato salì il più grande degli statisti normanni, tra i più grandi d'Europa nel suo secolo, il conte Ruggero II di Sicilia (nonno materno di Federico II), che stranamente, quando nel 1127, alla morte senza eredi diretti del giovane duca Guglielmo, conserverà il cardinale "secondo" anche da duca e persino da primo re del Regno di Sicilia che presto fonderà.
Ma l'ascesa al ducato di Ruggero II non fu indolore. Oltre che affrontare i vari signori feudali che, abituati ormai all'anarchia feudale, non ne volevano sapere di sottomettersi a lui, il nuovo duca dovette fronteggiare in guerra anche il papa, Onorio II, che, considerando i ducato un feudo della Chiesa, voleva disporne a suo piacimento e non riconosceva l'elezione di Ruggero che, anzi, scomunicava. Ad appoggiare Onorio II c'erano anche il principe di Capua, il conte Rainulfo d'Alife, cognato di Ruggero, il principe di Bari e moltri altri conti pugliesi. Ma dal conflitto uscì vittorioso Ruggero II e il papa dovette piegarsi ad assolverlo dalla scomonica ed a riconoscerne l'investitura.
Riappacificato il ducato, Ruggero, che ormai dominava tutta l'Italia meridionale, compreso il ducato di Napoli e il principato di Capua e fino al Tronto, per meglio governare quel vasto dominio, concepì l'idea di trasformare il Ducato di Puglia in Regno di Sicilia.
Ruggero II - mosaico di Palermo
Per realizzare la sua ambizione Ruggero approfittò del grave scisma che aveva colpito la Chiesa cattolica alla morte di Onorio II nel gennaio del 1130. Infatti, la stessa notte della sua morte, un manipoli di pochi cardinali eleggevano, con un vero e proprio colpo di mano (la norma prevedeva che dovevano essere presenti tutti i cardinali o almeno la maggioranza) Innocenzo II. Al mattino, quando furono informati dell'accaduto, la maggioranza dei cardinali, riunitisi a loro volta in conclave, elessero, certamente in modo più canonico, Anacleto II, che però passò alla storia come antipapa. Intanto, appoggiato solo da una minoranza dei Romani, Innocenzo fu costretto ad abbandonare Roma ed a riparare in Francia, mentre Anacleto prendeva posto in San Pietro. La cristianità si divise e mentre Innocenzo II trovava l'appoggio dei Francesi, Inglesi e Tedeschi, trovando in San Bernardo di Chiaravalle il suo campione, Anacleto II era sostenuto dall'Italia, dal ducato di Guascogna e Aquitania in Francia, dai ducati di Franconia e di Svevia in Germania, dall’Irlanda, dal Regno di Gerusalemme e da tutta la Chiesa latina d'Oriente.
Fu in questo contesto che Ruggero II, che fino a quel momento era rimasto interessato spettatore, contattò Anacleto. I due si incontrarono ad Avellino e stabilirono che, in cambio del riconoscimento come unico papa legittimo, Anacleto avrebbe investito Ruggero II del Regno di Sicilia. La cerimonia dell’incoronazione si svolse il giorno di Natale del 1130, con una fantasmagorica festa che stupì tutti gli astanti.  
Mantello di Ruggero II: seta e ricami in oro. 
Sembrava che il regno partisse sotto i migliori auspici. Ma ben presto riesplosero i contrasti con le città e i vari feudatari, tutti in cerca delle loro "libertà". Ruggero II dovette impegnarsi in altri nove anni di guerre devastanti e sanguinose, dove conobbe molte vittorie e due sonore sconfitte, a Nocera nel 1132 e a Rignano Garganico nel 1137. Dovette fronteggiare l'invasione dell'imperatore tedesco Lotario II (III come re di Germania), che conquistò quasi tutto il suo regno, eccetto la Calabria e la Sicilia. Ma alla fine ne uscì vincitore: su Lotario, che lasciando l'Italia nell'autunno del 1137, moriva mentre stava travalicando le Alpi; sul cognato Rainulfo (fatto duca di Puglia nell'agosto del 1137, con una comica investitura, l'unica nella storia, ad opera contemporaneamente  di Lotario II e Innocenzo II), che lo aveva sconfitto a Rignano, ma che moriva nel maggio del 1138; e sullo stesso Innocenzo II, sconfitto e fatto prigioniero, e costretto a riconoscergli quel regno che aveva ottenuto da un atipapa! Certo, anche la sorte ci ha messo la sua mano. Ma questo accade sempre, per ogni grande impresa.
Dopo la sua vittoria definitiva sui ribelli signori normanni, Ruggero II si dette da fare per edificare finalmente le strutture del regno, che sarà il più avanzato d'Europa, uguagliato solo nel secolo successivo dal regno di Francia. L'idea di fondo era che il re rappresentava lo stato e da lui scaturivano tutti i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. I conti, che fino ad allora si erano appropriati degli attributi propri dello stato (amministrazione della giustizia, imposizione fiscale, economia, ordine pubblico, eccetera), e che si erano sempre definiti "comites per gratia Dei", cioè che tenevano la loro contea solo per grazia di Dio e solo a lui volevano sottomettersi, divennero "comites per gratia Dei et regis", dove il re era determinante per l'assegnazione della contea. Inoltre essi furono spogliati della maggior parte delle funzioni pubbliche che avevano, conservando il solo diritto di guidare in guerra il proprio contingente feudale dovuto al re e qualche compito amministrativo secondario. Per l'amministrazione della giustizia, da amministrare in nome del re, Ruggero II divise il regno in undici circoscrizioni, i Giustizierati, con a capo il Giustiziere regio, uno per ogni circoscrizione. Per l'imposizione fiscale furono create undici Camerariati, con a capo il Camerario regio. Ruggero intervenne anche nel conio di una nuova moneta, il ducato d'argento, che prese il posto delle vecchie romesine. Egli inoltre costituì, per la prima volta nella storia medievale, un regio esercito permanente, al comando di un ammiraglio (titolo derivato dall’arabo emiro, cioè comandante), per la difesa permanente dei confini del regno (già a partire dal 1135). Mentre l'esercito feudale, che prevedeva un periodo di quaranta giorni di servizio annui, veniva impiegato ad integrazione di quello regio.
Palermo, Palazzo dei Normanni
 
In definitiva, Ruggero II riuscì ad edificare uno stato moderno, di gran lunga il più avanzato di tutti gli altri stati  medievali europei; uno stato con una propria amministrazione, ma moderno e centralizzato, con lo scopo dichiarato di garantire la pace interna ed esterna al suo popolo e l'amministrazione di una giustizia equa, garante delle persone e dei loro beni. Per la prima volta nel medioevo gli attributi del buon sovrano non erano più quelli dell'eroismo e della forza, ma l'intelligenza, la ricchezza e la potenza, voluta da Dio, e che dovevano servire a sottomettere tutti i suoi nemici, per garantire così pace e giustizia al popolo. Inoltre egli riuscì ad unificare definitivamente l'Italia meridionale, dal Tronto alla Campagna Romana alla Sicilia, al di qua e al di là del Faro, come allora si diceva, in uno stato unitario che sopravvivrà, con varie vicissitudini,  fino all'unità d'Italia nel 1861.
Fu questa l'eredità che i Normanni lasciarono ai loro successori Svevi e, in particolar modo, che Ruggero II lasciò al nipote, il grande imperatore normanno-svevo, Federico II, che saprà apprezzarla e migliorarla, facendo del Regno di Sicilia il suo centro primario di potere. Egli sarà degno erede del nonno Ruggero.
 
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